Gallery
Exhibits
20.09.2024 - 09.11.2024
opening: 19.09.2024
20.09.2024 - 09.11.2024
Se la fotografia fosse rappresentazione della realtà, quella di Vik Muniz non dovrebbe essere considerata tale. Niente è vero nelle sue immagini, ogni dettaglio è finzione e ricostruzione minuziosa, quasi maniacale, di qualcosa di preesistente.
Eppure, sono fotografie le grandi stampe che la Galleria Umberto Benappi espone a Torino dal 20 settembre al 9 novembre 2024 in via Andrea Doria, provenienti dalla collezione di Gian Enzo Sperone e da privati. L’opera di un grande artista che conosce profondamente la cultura visiva e i media, per il quale la macchina fotografica è l’ultimo passaggio nella realizzazione della sua opera.
Le stampe, dai colori vividi, sono impeccabili, quasi sempre di grande formato, ma è la composizione quella che rende così identificativo il lavoro dell’artista brasiliano, nato a San Paolo nel 1961. Pigmenti, inchiostro e coriandoli; tessere di puzzle, diamanti e sciroppo di cioccolato; semplici fili, materiale di recupero e ritagli di giornale; gli oggetti più disparati sono il punto di partenza del lavoro creativo di Vik Muniz. La fotografia, l’atto finale.
Tra i lavori più noti, Pictures of Chocolate, la serie di opere realizzate nel 1997 con lo sciroppo di cioccolato. Con questa tecnica, la galleria Umberto Benappi espone l’iconica serie delle 9 Jackie (2001), originariamente realizzata da Andy Warhol dalle foto pubblicate su Life al funerale del marito, il Presidente J.F. Kennedy, e l’affascinate autoritratto di Rembrandt (Self portrait after Rembrandt, 2002); due opere potenti che si affiancano, nella grande parete della sala principale della galleria, ai ritratti di Karl Marx, Andy Warhol, Liz Taylor e Marilyn Monroe.
Vik Muniz è cresciuto in una famiglia semplice e ha iniziato a disegnare molto giovane, anche a causa di una forte dislessia. Passava ore a copiare arte antica nei musei, diventando ben presto molto abile tecnicamente. Disegnava con qualsiasi materiale (e qualsiasi, nel suo caso, voleva dire quasi tutti). Ferito alle gambe mentre cercava pacificamente di sedare una rissa (1983), con il risarcimento ottenuto, decise di partire per New York. Qui la sua vita cambiò; si poté dedicare definitivamente all’arte e nel 1988 espose per la prima volta in una personale. Cominciò la carriera come scultore, ma da subito si interessò alla rappresentazione fotografica delle sue opere e alle molteplici possibilità dell’immagine. Ora le sue opere si possono trovare al MoMa, al Guggenheim e al Whitney, ma anche alla Tate e al Victoria and Albert Museum, al Museu de Arte Moderna de Sao Paolo, al Museum of Contemporary Art di Tokyo, al Centre Pompidou di Parigi; con il suo lavoro ha rappresentato il Brasile alla Biennale di Venezia del 2001.
Il lavoro di Muniz è un alternarsi di tematiche differenti e nuove sperimentazioni. Sa essere giocoso e ironico, ma anche provocatorio e critico. Pictures of Junk (2006) è una serie ambientata nella più grande discarica del mondo, Jardim Gramacho, appena fuori Rio De Janeiro. Qui (fino al 2012) lavoravano migliaia di persone cercando nell’immondizia materiale riciclabile da vendere o barattare. Opere in cui si mischiano i rifiuti ritrovati nel luogo, al disegno, ispirato ai grandi capolavori del passato. Il progetto artistico (che si trasforma anche in aiuto umanitario) fu esposto per la prima volta proprio al Museo di Arte Moderna di Rio de Janeiro e raccontato nel cortometraggio Waste Land (2010), poi candidato al premio Oscar. Dalla serie Pictures of Junk, Benappi espone due incredibili lavori di ispirazione classica: Leda e il Cigno, da Leonardo da Vinci (2009) e Vulcano che fabbrica le frecce ad Amore, da Alessandro Tiarini (2006), entrambi simbolo della capacità compositiva e immaginativa dell’artista.
Muniz realizza anche Marilyn di diamanti e Karl Marx di caviale. Composizioni effimere, tra realtà e finzione, dove non è tanto importante ciò che l’opera rappresenta, ma come qualcosa riesce a rappresentare qualcos’altro. Creatività inesauribile, tecnica impeccabile, sorpresa e stupore.
Una parte del suo lavoro è anche dedicata al collage, ai puzzle e ai ritagli di giornale. Ama i media e conosce molto bene la storia dell’arte, per cui, con naturalezza, cita i capolavori più celebri e trae ispirazione dalle immagini più note della memoria collettiva: i grandi avvenimenti storici, le cartoline delle città più visitate, i personaggi iconici. Mette alla prova il nostro modo di vedere e la nostra percezione costringendoci a riflettere su ciò che abbiamo di fronte e su cosa significhi veramente guardare. È tutto un gioco, ma molto più serio di come appare.
Chiara Massimello
«Ho conosciuto Vik Muniz a New York nel 1996, dopo aver visto alcune sue opere della serie The Sugar Children nella galleria di Tricia Collins a Soho che ho trovato sin da subito impressionanti. Le sue fotografie, sin dagli inizi, presentano una varietà linguistica straordinaria. Vorrei un giorno poterlo convincere a esporre tutti i suoi originali (realizzati con carne cruda, cioccolato, marmellata, zucchero, polvere, pigmenti, carta, giocattoli, spilli e chilometri di fili, diamanti, ecc.): sì, perché questa risulta di gran lunga la parte più eccezionale del suo modo di esprimersi. Le fotografie conseguenti sono quindi solo una parte dell’opera, un mezzo per divulgarle.» – Gian Enzo Sperone
28.06.2024 - 27.07.2024
opening: 27.06.2024
28.06.2024 - 27.07.2024
06.05.2024 - 07.06.2024
opening: 04.05.2024
06.05.2024 - 07.06.2024
Maurizio Camerani
In~equilibrio
a cura di Federica Maria Giallombardo
5-25 maggio 2024
Opening 4 maggio, 19:00 – 23:00
La galleria Umberto Benappi presenta In~equilibrio, la prima personale di Maurizio Camerani (Ferrara, 1951) negli spazi torinesi di via Andrea Doria 10.
In~equilibrio è l’attimo appena precedente lo slancio nella riflessione; è il momento del bilancio di un tragitto che si materializza sulla trave, forma aguzza e fredda vivificata e complicata dalla presenza dell’uomo in bilico. È la risultante sostanziale di un confronto tra la superficie e l’infinito; è il silenzio, costellato da geometrie perfette di luci e suoni, per sospensione d’incredulità. Dopo un periodo di studio e di approfondita catalogazione delle sue opere, attraversando con rinnovate consapevolezze le ricerche estetico-formali che hanno contraddistinto la sua carriera, Camerani riassume il percorso trentennale che lo ha reso uno dei capisaldi della storia della videoarte italiana, lasciando deflagrare nello spazio espositivo una selezione autobiografica e storicizzata di “video ambienti” – video e sculture assemblati in un dialogo armonico ed extra-mediale – amalgamando tra loro tecniche e materiali eterogenei in virtù dell’urgenza, sempre intatta e sperimentale, di esprimersi poeticamente.
28.10.2023 - 26.01.2024
opening: 27.10.2023
28.10.2023 - 26.01.2024
prorogata fino al
26 GENNAIO 2024
La Galleria Umberto Benappi è lieta di presentare Kounellis / Nitsch. A theatral moment, a cura di Lóránd Hegyi, una mostra dedicata a due maestri del tardo Novecento, per la prima volta insieme, capaci attraverso la loro arte di dare vita a energie sensuali e spirituali, a una lotta tra forze che sfocia in un momento teatrale.
Jannis Kounellis e Hermann Nitsch condividono, nelle loro opere, l’adesione a una dimensione di estrema intensità, a una forma di coinvolgimento catartico nella realtà che orchestrano come veri drammaturghi.
15.09.2023 - 14.10.2023
opening: 14.09.2023
15.09.2023 - 14.10.2023
La galleria è uno spazio centrale dove tutto nasce: mostre, fiere, incontri, nuovi progetti e collaborazioni. Una fucina di idee e di connessioni che storicamente vede interagire al suo interno una pluralità di personalità, professionisti e non, del settore artistico. Sempre più spesso, tuttavia, questo spazio è frequentato principalmente in occasione di inaugurazioni ed eventi speciali che vi hanno luogo, perdendo il ruolo di promotore e di centro collettivo volto alla discussione e al confronto che tradizionalmente ha sempre ricoperto. La mostra collettiva Crossroads prende avvio dalla necessità di rimettere al centro la galleria intesa come crocevia, come luogo nevralgico di scambio, e di riportare l’attenzione sulle persone che la frequentano e sulle connessioni che nascono al suo interno tra artisti, curatori, galleristi, collezionisti e giornalisti. In occasione di Crossroads, professionisti del settore, insieme ad appassionati, sono stati invitati a presentare un artista e il suo lavoro. L’intento del progetto è quello di ricostruire, attraverso questi incontri, i passaggi necessari alla realizzazione di una mostra evidenziando in particolare le relazioni umane da cui si dipana il progetto espositivo. Artisti e “curatori” con i loro differenti percorsi di vita si incontrano negli spazi della Galleria Umberto Benappi dando vita a un dialogo a più voci, catturato attraverso una serie di video interviste realizzate per l’occasione; allo stesso modo le opere d’arte esposte conversano tra di loro nell’ambiente espositivo della galleria, che si riafferma come crocevia di nuove connessioni in divenire.
MAR/TUE-SAB/SAT 10.00-13.00 e 15.00 -19.00
06.04.2023 - 12.05.2023
opening: 05.04.2023
06.04.2023 - 12.05.2023
dalle ore 18 alle ore 20
La Galleria Umberto Benappi di Torino ospita nei suoi spazi The image-creating Demiurge, a cura di Lóránd Hegyi, secondo appuntamento della rassegna Promenade. Promenade è un progetto espositivo, composto da tre mostre, il cui intento è quello di concentrarsi sulla rivisitazione delle visioni estetiche ed artistiche di una specifica generazione di artisti, la cui carriera e il cui destino sono stati profondamente legati agli anni ‘80. I giovani artisti della fine degli anni ‘70 e dei primi anni ‘80, anziché continuare la creazione di movimenti, di metodi e di nuove versioni del mito modernista, hanno proposto un linguaggio visivo radicalmente eclettico basato su una combinazione soggettiva di cultura, storia, mitologia e riferimenti etnografici. La pittura, in ogni suo stile, conquistava l’interesse di gran parte dei giovani talenti; così esempi, tratti dalla storia dell’arte, da costellazioni antropologiche e da riferimenti archetipici e mitologici, si sono mescolati a soggetti emotivi, intimi e ad immagini pittoresche e fantasiose, riempiendo le tele. Promenade mette il pubblico a confronto con l’opera pittorica di alcune figure rappresentative di questo periodo di transizione caratterizzato da fondamentali cambiamenti concettuali riguardanti la storia, la mitologia, l’arte e le metafore culturali. La maggior parte delle opere presentate sono opere contemporanee che rivelano l’attuale orientamento dei loro creatori pur evocando contesti specifici degli anni ‘80. |
Come per la prima edizione del progetto i tre artisti presentati in mostra, Jiří Georg Dokoupil, Giuseppe Gallo e Hubert Scheibl, fanno parte del nuovo revival pittorico iniziato negli anni ’80, le cui opere restano tutt’oggi, anche a distanza di quattro decenni, vivide e autentiche. Nati nei primi anni ’50, tutti loro hanno intrapreso i loro studi artistici nei primi anni ’70. Sebbene siano cresciuti e abbiano interagito all’interno di differenti contesti culturali e politici e in diverse città europee, divennero figure cardine della loro generazione. Tutti e tre i pittori hanno infatti partecipato a importanti mostre di quel periodo e hanno influenzato il profondo cambiamento dell’arte negli anni ’80. Mentre i primi lavori di Jiří Georg Dokoupil testimoniano chiaramente tematiche politiche e socio-culturali influenzate da conflitti sociali e da tensioni politiche della società tedesca, l’opera di Giuseppe Gallo rappresenta un atteggiamento piuttosto introverso e poetico, basato sulla rivalutazione della grande tradizione dell’artista-pensatore del Manierismo italiano. L’atmosfera creativa di Roma ha evidentemente ispirato l’orientamento estetico di Gallo, così come Berlino, dinamica, instabile e turbolenta metropoli tedesca, ha determinato l’atteggiamento di Dokoupil. L’opera di Hubert Scheibl si sviluppò invece negli ambienti intellettuali austriaci nei quali i discorsi politici sembravano influenzare meno le discussioni artistiche generali, e l’orientamento dei giovani artisti si concentrò probabilmente più sulle questioni secolari del dilemma centro/periferia che sulle dispute politiche attuali. Mentre l’argomentazione e la fraseologia politica erano ampiamente utilizzate nei discorsi culturali, la scena culturale tedesca era l’unica che si confrontava direttamente con i conflitti politici seri ed esistenzialmente significativi, in quanto paese nel cuore dell’Europa della Guerra Fredda. Infatti, nella Berlino divisa i conflitti ed i discorsi politici hanno influenzato direttamente le nuove tendenze artistiche e, in parte, animato alcune nuove narrazioni, al contrario altri centri culturali europei testimoniano una minore consapevolezza politica all’interno della nuova scena artistica.Tutti e tre gli artisti rifiutarono i modelli linguistici monolitici tardo-moderni, proponendo immagini pittoresche eccentriche e sofisticate basate sulla fusione di diversi contesti socio-culturali e riferimenti provenienti dalla cultura elevata e dalla cultura bassa, nonché sulla rivitalizzazione di metafore culturali. Ovviamente, tutti e tre i pittori riflettono anche le loro micro-comunità culturali, così come certi simbolismi convenzionali storicamente sviluppati dal loro background culturale. Da questo punto di vista sembra significativo osservare la mappa culturale della fine degli anni ’70, primi anni ’80 con il dinamismo di centri dell’arte contemporanea come New York, Berlino e Londra. Queste nuove capitali, simbolo della rivolta artistica, megalopoli dalle vibranti atmosfere caratterizzate da uno stile di vita postmoderno, hanno scioccato l’establishment culturale. Jiří Georg Dokoupil, nato nell’ex Cecoslovacchia, si è trasferito con la famiglia in Germania dopo l’invasione di Praga, nel 1968. È stato uno degli esponenti di spicco della scena artistica berlinese dei primi anni ’80, e il suo nome è connesso al cosiddetto gruppo “Mühlheimer Freiheit” con sede a Colonia, considerato tra le formazioni artistiche più innovative delle tendenze della “Neue Wilde” o “Heftige Malerei”. In seguito, Dokoupil adottò uno stile di vita nomade, stabilendosi tra Spagna, Germania e Repubblica Ceca. L’opera di Jiří Georg Dokoupil sottolinea la radicalizzazione della sensualità pittorica e l’offensività dell’apparenza pittorica, che paradossalmente offre la celebrazione di una eccessiva artificialità trionfalmente irresistibile, e il cupo confronto con la sostanzialità visiva, archetipica, eterna, enigmatica e indiscutibile. Il suo stile è caratterizzato da molteplici tecniche, tra le più note è l’uso di pigmenti naturali, fuliggine, bolle di sapone, alluminio. Per la mostra XX sono state selezionate una serie di opere prodotte con la fuliggine lasciata sulla tela da candele accese.
La vita e il lavoro di Giuseppe Gallo sono stati indissolubilmente legati a Roma e la sua produzione artistica rivela indiscutibili particolarità all’interno dell’ambiente culturale romano. Dal 1977 ha stabilito il suo studio nel leggendario quartiere periferico San Lorenzo ed è stato uno dei fondatori della cosiddetta “Nuova Scuola Romana”, i cui membri (tra i quali Domenico Bianchi, Gianni Dessì, Bruno Ceccobelli, Nunzio, Pizzicannella e Marco Tirelli) organizzarono mostre collettive e presentarono le proprie opere come artisti di “Ultima Generazione”. La pratica artistica, straordinariamente ricca e complessa, di Gallo include pittura, scultura, disegno e non mancano in essa i segni indistinguibili della tradizione intellettuale romana, caratterizzata da una certa tendenza all’eclettismo e allo storicismo. L’eclettismo è inteso come mescolanza libera e gioiosa di contesti visivi, stili, sistemi linguistici, metodi compositivi, così come da una mescolanza di soggetti antichi e moderni, allegorie e narrazioni metaforiche tratte dalla letteratura, dalla filosofia, dall’estetica, dal teatro e dalla teoria dell’arte. Lo storicismo è invece inteso come l’operare con tutti i tipi di riferimenti storici che vengono permanentemente e soggettivamente reinterpretati. Giuseppe Gallo opera con un sistema ripetitivo estremamente delicato di organizzazione visiva nel quale un insieme di motivi, proposti ripetutamente, vengono utilizzati in contesti diversi. Così facendo, questi motivi assumono significati contestuali differenti e sono collegati con varie connotazioni ed associazioni, suscitando diverse interpretazioni e aprendosi ad un ampio spazio di libera immaginazione.
Hubert Scheibl, fin dall’inizio della sua carriera pittorica, fa parte della nuova scena artistica contemporanea austriaca degli anni ’80 e la sua produzione artistica rientra tra quelle dei più significativi fondatori della cosiddetta “Austrian New Painting”, gruppo di giovani artisti austriaci spontaneo e mai ufficializzato, caratterizzato da un’estetica in qualche modo simile a quella dell’affermato gruppo tedesco coevo “Neue Wilde”, sebbene ai giovani artisti austriaci mancasse il radicalismo urbano ribelle e l’argomentazione politica dei loro contemporanei tedeschi. I giovani pittori austriaci scelsero un’altra strada rappresentata da un atteggiamento piuttosto silenzioso, meditativo e intimo che sembrava concentrarsi meno su questioni politiche e più sul ripensamento della tradizione della pittura moderna, dall’Espressionismo Romantico a quello Astratto. Come gli altri protagonisti delle tendenze artistiche del nuovo decennio, anche la pittura di Scheibl può essere interpretata all’interno di un contesto di confronto critico con l’estetica tardo-moderna. L’attività di Hubert Scheibl, uno dei più importanti rappresentanti austriaci della pittura astratta e gestuale, è inseparabilmente connessa con i radicali cambiamenti dell’arte alla fine degli anni ’70 e all’inizio degli anni ’80. I suoi monumentali dipinti su tela sono finzioni, costruzioni spaziali senza tempo, che invitano alla contemplazione contemplativa e forniscono insolite esperienze visive. Sono viaggi nel profondo della psiche personale, che indirizzano ed esprimono sentimenti archetipici universali. La pittura di Hubert Scheibl offre un’aura piuttosto emotiva ed empatica, nella quale certi elementi e stranezze inaspettate creano effetti inquietanti, che rompono la coerenza apparentemente armonica. |
16.12.2022 - 21.01.2023
opening: 15.12.2022
16.12.2022 - 21.01.2023
opening: giovedì 15 dicembre 2022 h.17.00
rewind – mostra collettiva di fine anno – ripercorre i progetti, le mostre, le fiere e gli eventi organizzati dalla Galleria Umberto Benappi nel corso del 2022. Saranno presenti una selezione di opere degli artisti che ci hanno accompagnato nel calendario espositivo di quest’anno.
Ha dato il via al 2022 la mostra Levia Gravia, a cura di Francesca Canfora e Roberto Mastroianni nella quale le opere di Paolo Grassino, Domenico Borrelli e Carlo D’Oria (scultori torinesi mid-career) hanno giocato un ruolo di primo piano. Sin dalla scelta dei materiali e dei linguaggi tradizionali della scultura, le opere dei tre artisti richiamano la tradizione scultorea che viene riarticolata nelle forme e nei linguaggi del contemporaneo.
I progetti a cura di Lóránd Hegyi hanno portato in Galleria opere di artisti di fama internazionale, tra cui lo scultore spagnolo Bernardì Roig (presentato in occasione di Challenging Body) e il pittore Gianni Dessì, tra i fondatori della “Nuova Scuola Romana” (presente nella mostra Encounter Narratives).
Parte della collettiva sarà dedicata anche ad opere storiche di alcuni importanti artisti della seconda metà del ‘900, tra cui Salvo e Mario Schifano (già inseriti nella mostra del 2021 “L’estate sta finendo” dedicata agli anni ’80 a cura di Luca Beatrice) e presentate recentemente in occasione di Artefiera, durante la quale sono state riproposte al pubblico una selezione delle opere e il catalogo del progetto espositivo.
Saranno inoltre presenti alcuni lavori di giovani artisti contemporanei, tra cui l’installazione Ed è subito sera dell’artista romana Guendalina Urbani, vincitrice del Premio Young-under 35 della Regione Lazio.
Aldo Mondino | Giulio Turcato | Mario Schifano | Mario Nigro | Mino Delle Site | Salvo | Asger Jorn | Nicolay Diulgheroff | Umberto Mastroianni | Luigi Veronesi | Gianni Dessì | Bernardí Roig | Paolo Grassino | Domenico Borrelli | Carlo D’Oria | Gisella Chaudry | Francesca Dondoglio | Guendalina Urbani
29.09.2022 - 12.11.2022
opening: 28.09.2022
29.09.2022 - 12.11.2022
La Galleria Umberto Benappi di Torino ospita nei sui spazi Encounter Narratives, a cura di Lóránd Hegyi, primo appuntamento della rassegna Promenade.
Promenade è un progetto espositivo, composto da tre mostre, il cui intento è quello di concentrarsi sulla rivisitazione delle visioni estetiche ed artistiche di una specifica generazione di artisti, la cui carriera e il cui destino sono stati profondamente legati agli anni ’80. I giovani artisti della fine degli anni ’70 e dei primi anni ’80, anziché continuare la creazione di movimenti, di metodi e di nuove versioni del mito modernista, hanno proposto un linguaggio visivo radicalmente eclettico basato su una combinazione soggettiva di cultura, storia, mitologia e riferimenti etnografici. La pittura, in ogni suo stile, conquistava l’interesse di gran parte dei giovani talenti; così esempi, tratti dalla storia dell’arte, da costellazioni antropologiche e da riferimenti archetipici e mitologici, si sono mescolati a soggetti emotivi, intimi e ad immagini pittoresche e fantasiose, riempiendo le tele. Promenade mette il pubblico a confronto con l’opera pittorica di alcune figure rappresentative di questo periodo di transizione caratterizzato da fondamentali cambiamenti concettuali riguardanti la storia, la mitologia, l’arte e le metafore culturali. La maggior parte delle opere presentate sono opere contemporanee che rivelano l’attuale orientamento dei loro creatori pur evocando contesti specifici degli anni ’80, momento in cui nuove ed inedite connessioni culturali tra i diversi campi delle esperienze e delle proiezioni umane sono entrati a far parte della prassi artistica.
La mostra Encounter Narratives presenta una selezione complessa e multistrato di opere di tre artisti provenienti da Italia, Austria ed Ungheria. Tre pittori della stessa generazione i cui esordi sembrano inseparabili se si considerano i profondi e fondamentali cambiamenti del paradigma dell’arte tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80. Questo periodo turbolento ha visto, da un lato la delegittimazione lentamente affermata di alcune strategie tardo-moderne, la perdita di credibilità di qualsiasi formalismo elitario e di sistemi tautologici riduttivi, e la revisione dell’ottimismo espansionistico dell’Avantgarde, dall’altro una svolta appassionata ed eloquente verso il soggettivismo, l’eclettismo e le narrazioni personali, introverse, o meglio indirizzate verso l’appropriazione soggettiva di certe metafore culturali mitologiche e archetipiche. Riferimenti storici e modelli psicoanalitici e antropologici sono stati inseriti in vocabolari visivi di nuova elaborazione, basandosi su citazioni libere e fluide, su citazioni di linguaggi eterogenei dell’intera storia dell’arte, così come su segnali di “bassa” cultura, su sistemi segnici sub-culturali urbani e persino su modelli etnografici. Possiamo osservare un’apertura radicale anche verso soggetti letterari e mitologici, così come l’eliminazione di alcuni tabù modernisti come l’evitare la resa mimetica del mondo visibile e la confessione della necessaria evoluzione verso la purezza e l’astrazione. Al suo posto si ripropone anche la ricerca di identità personali e micro-comunitarie, la ridefinizione della concretezza e dei sistemi di valori pluralistici. Come chiaramente formulato da Arthur C. Danto: “la concretezza dei sé concreti nelle loro società immediate” è diventata il vero soggetto di un universo visivo eclettico sofisticatamente elaborato. Esempi reinterpretati e attualizzati del Manierismo, del Barocco, del Romanticismo, del Simbolismo o della Pittura Metafisica sono stati integrati, o meglio fusi, in nuove organizzazioni linguistiche di segnali e modelli di diversa origine e l’auto-interrogazione del ruolo dell’artista è diventata una delle questioni centrali del pensiero artistico postmoderno.
Gianni Dessì, tra i fondatori della mitica “Nuova Scuola Romana”, Alois Mosbacher una delle figure di spicco del gruppo artistico austriaco “Neue Malerei” e László Fehér, uno dei pittori più paradigmatici del “New Sensibility”, hanno tutti avuto un ruolo decisivo a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 nel loro contesto culturale di origine, rispettivamente in Italia, Austria e Ungheria. Tutti e tre i pittori hanno partecipato a numerose importanti mostre di quel periodo e di fatto hanno influenzato il profondo cambiamento del paradigma dell’arte negli anni ’80.
Pur essendoci un determinato tipo di dialogo tra gli artisti, la struttura di questa mostra si basa sulla presentazione personale di ciascuna opera, ossia sull’enfatizzare specifici metodi individuali dell’organizzazione di sistemi visivi e di modellazione delle immagini, oltre che rivelarne le specifiche narrazioni incarnate nella loro pittura.
La voce di Gianni Dessì riflette l’immagine dell’artista intellettuale, l’artista inteso come pensatore, il cui oggetto di studio è l’intera storia culturale, a partire dall’eredità dei grandi Maestri, dalla biblioteca della memoria e dalla raccolta di esempi del passato. Il suo atteggiamento si basa sulla rivisitazione del Manierismo e del Romanticismo; il suo lavoro si ispira a modelli di riferimento e di reinterpretazione della storia dell’arte. Esamina i sistemi visivi della rappresentazione di alcune realtà intelligibili e di modelli che mettono in discussione la posizione dell’artista e dell’opera d’arte nell’orientamento universale. Così facendo, il lavoro di Dessì propone una lettura parallela: da un lato la ricerca drammatica, profondamente personale e interrogativa, di definizioni del destino individuale, nonché del percorso dell’artista, e dall’altro l’aspetto intellettuale e ontologico della localizzazione universale della rappresentazione artistica dell’insieme. Gianni Dessì crea immagini drammatiche di autoritratti, e allo stesso tempo reinterpreta e reintroduce vecchi schemi e modelli tradizionali dell’auto-rappresentazione dell’artista come soggetto universale, come immaginario collettivo dell’uomo sofferente. La capacità o l’incapacità di parlare, gridare ed esprimere i propri sentimenti e visioni creano così, nell’opera di Dessì, una narrazione drammatica.
Alois Mosbacher ha elaborato un enorme arsenale di oggetti enigmatici, non definiti, figurazioni strane e inesplicabili, che rappresentano elementi della natura e oggetti combinati artificialmente. Nel fascino della sua pittura spazi misteriosi, confusi, labirintici, foreste e campi con alberi, fiori e piante, e l’intera ricchezza vegetativa, si trasforma permanentemente in un mondo di oscurità caotico, irrazionale e irritante. L’universo pittorico di Alois Mosbacher offre una metafora visiva della nostra realtà come un palcoscenico oscuro, irrazionale e un po’ teatrale, privo di una struttura interna chiara, che manca di coerenza e logica e sembra funzionare sotto la direzione di regole invisibili, inesplicabili e irrazionali. Allo stesso tempo, paradossalmente, il suo pittoresco mondo pittorico appare come qualcosa di naturale, di fondamentalmente probabile e credibile, quasi evidente e vegetativo, organico e vivido. In modo sovversivo, Alois Mosbacher ci mette a confronto con un universo nascosto del nostro mondo interiore, con un impero dimenticato, ma ancora vivido e potente, di immaginazione libera e illimitata, in cui probabilità e improbabilità si mescolano tra loro creando una giocosa incertezza.
L’approccio di László Fehér, alla memoria e alle esperienze storiche collettive, o meglio al doloroso processo di irreversibile perdita di questa memoria, alla lenta scomparsa di precedenti vite e destini, riempie di emotività il suo universo pittorico e provoca, attraverso le sue immagini, una immediata partecipazione, o meglio una autoidentificazione catartica. L’opera di Fehér testimonia l’orientamento intellettuale per eccellenza della sua generazione, che ha iniziato l’attività artistica a metà degli anni ’70 e l’ha consolidata negli anni ’80 e ’90. Al centro del suo lavoro artistico ci sono il ripensamento e la rivalutazione delle capacità narrative della pittura contemporanea, la creazione di una narrazione complessa e referenziale, che riflette diversi livelli e aspetti del nostro orientamento estetico ed etico basato sulla molteplicità anche di sistemi linguistici visivi e sulle loro connotazioni referenziali, nonché sulla molteplicità delle identità e sulla contestualizzazione culturale.
Il ripensamento radicale della struttura epica, la reinvenzione delle narrazioni, la drammaturgia sottile e intelligente, poetica ed emotiva costruiscono un linguaggio pittorico solido e trasparente, che trasferisce una visione complessa della coscienza storica e culturale dei nostri giorni. Allo stesso tempo, la concretezza dell’esperienza personale nella pesante realtà storica e dello specifico destino individuale – per lo più come elemento sofferente, vulnerabile, passivo degli eventi – determina l’universo pittorico dell’artista.
28.05.2022 - 30.06.2022
opening: 27.05.2022
28.05.2022 - 30.06.2022
26.02.2022 - 10.04.2022
opening: 25.02.2022
26.02.2022 - 10.04.2022
La mostra collettiva a cura di Lóránd Hegyi, organizzata e ospitata dalla galleria Umberto Benappi Arte Contemporanea di Torino, presenta una selezione di opere di Gloria Friedmann, Paolo Grassino e Bernardí Roig che mettono lo spettatore di fronte a immagini intriganti, enigmatiche, eccentriche e irritanti ispirate al corpo umano o animale o meglio a creature organiche, ibride, estremamente vitali, inserite in scenografie teatrali strane, oniriche o spettacolari e in situazioni allucinate e psichedeliche. Queste travolgenti connotazioni letterarie, creano narrazioni attorno ai corpi o alle formazioni corporee, in parte per le loro suggestive evocazioni poetiche, in parte per le loro riserve immaginarie che comprendono fiabe liriche, incontri romantici con la natura e con il mondo animale, o esplosioni e tensioni, a volte anche conflitti, scontri aggressivi ed esperienze drammatiche di lotta permanente. Probabilmente questo sguardo nell’oscurità dell’anima umana ospita una lettura profonda dei corpi animati presenti in mostra, che aprono la strada verso un immaginario nascosto archetipico e mitologico.
Anche se le sculture e gli ambienti scultorei, a volte scioccanti ed irritanti, di Bernardí Roig mettono lo spettatore a confronto con situazioni di pesanti conflitti, di pressione insopportabile, di incapacità di difendersi, di angoscia e vulnerabilità, suggeriscono tuttavia anche un eroismo nascosto basato sul riconoscimento della resistenza e dell’intransigenza umana. L’opera di Bernardí Roig manifesta l’inevitabile potere che hanno le forze nascoste, sconosciute, misteriose, spesso negative, distruttive e spaventose e, allo stesso tempo, rivela orizzonti di una empatica comprensione delle possibilità di trovare le origini di una nuova autocoscienza e resistenza.
La radicale rivisitazione e reinterpretazione della tradizione scultorea europea nella rappresentazione del corpo umano e animale, nonché l’ampliamento offensivo delle competenze connotative di modellare le formazioni corporee, è stato per lungo tempo uno dei temi centrali dell’opera di Paolo Grassino. Attraverso la contestualizzazione del corpo umano o animale – o di frammenti di corpo – ha aperto la forma scultorea verso configurazioni teatrali ampie, spesso monumentali e drammatiche, che producono spazi tematici inquietanti, irrazionali, inconsci e incontrollabili di instabilità, incertezza, lotta per l’autodeterminazione e la sovranità. Questo aspetto eroico del combattimento e del conflitto, presta una certa connotazione romantica al suo lavoro mentre l’enigmatica incertezza, l’oscurità pittoresca e la favolosa ricchezza di avventure, incarnate nei suoi assemblaggi scultorei, rafforzano la sensazione di condivisione di un’esperienza, senza precedenti, di partecipazione ad un universo sconosciuto dominato da forze invisibili, incalcolabili, imprevedibili.
Mentre da un lato Paolo Grassino salvaguarda i metodi di rappresentazione quasi classica del corpo umano e conserva alcuni elementi basilari della grande tradizione mimetica dell’arte occidentale, dall’altra distrugge ogni convenzione compositiva classica e opera in modo eversivo attraverso la delegittimazione irreversibile di ogni classica coerenza spazio-temporale. Questa disorganizzazione quasi isterica e turbolenta, violenta e sovversiva destrutturazione di qualsiasi drammaturgia scultorea convenzionale, riempie la sua opera dell’inquietudine contemporanea per eccellenza, che evoca un sentimentalismo recentemente valorizzato e una partecipazione emotiva all’universo poetico virtuale incarnato nella sua opera. Questo immaginario teatrale, pesante, drammatico, irritante di conflitti e sacrifici, di paure e speranze, di lotte e dubbi, testimonia l’oscura complessità e l’impegnativa incertezza della nostra vita.
Anche l’approccio di Gloria Friedmann al corpo umano e animale, alle formazioni corporee organiche che imitano o evocano il corpo, rivela un modo differente di contestualizzazione – culturale, mitologica ed etnografica – del corpo, in cui la competenza simbologica dell’arte gioca un ruolo determinante. I suoi corpi sono modellati da un complesso processo di fusione di forme organiche, naturali, vivide con forme di diversa origine, sia organiche che inorganiche, ovvero fondendo corpi umani, o frammenti di corpi umani, con forme-simbolo rituali, culturali, magiche che traggono origine dal modello del corpo umano o animale. Dimostra una sorprendente strategia parallela, o meglio un doppio processo, di reciprocità. Da un lato, elabora a partire dall’oggetto rituale, magico, cultuale, dalla forma-simbolo, dal totem, dall’icona – il cui modello originario era un tempo il corpo reale, vivo, che si è sublimato fino a diventare un puro simbolo – e successivamente torna verso la vita, torna alla natura; rivitalizza la forma-simbolo, riempie di vita il totem, resuscita l’icona, così la forma-simbolo si trasforma in corpo vivente. Dall’altro lato, parallelamente alla trasformazione, l’artista elabora – partendo dal corpo reale, sensuale, vivo, concreto – la forma/simbolo impalpabile, la rende astratta, la deindividualizza e ne crea un totem. Nel processo di rivitalizzazione delle forme-simbolo rituali, magiche, non individuali, le separa dalla loro prassi rituale convenzionale – collettiva – in cui esse hanno svolto un ruolo ben determinato e le libera dal contesto della prassi magica, donando loro una nuova vita organica, una forma vivida, individuale, unica, un ruolo autonomo, che attira reazioni empatiche e provoca risposte emotive da parte dello spettatore.
Il momento profondamente sorprendente, e in qualche modo irritante, di queste strategie parallele è molto probabilmente il modo in cui Gloria Friedmann crea nuovi esseri autentici, vividi, organici e autonomi, fondendo i corpi creati da questi due processi di trasformazione reciproca. Mentre questi nuovi corpi ibridi indossano tutto il decoro dei loro potenziali ruoli culturali, rappresentando ancora un certo significato allegorico o magico e suggerendo funzioni rituali, allo stesso tempo appaiono come corpi viventi, sensuali, come esseri autonomi e organici, come parte della natura grande, illimitata e potente. Sono estremamente sensuali, suggeriscono vita e sentimenti, irradiano libertà, diffondono sovranità e dignità. In questo senso, non appartengono né al mondo astratto e impalpabile di simboli, totem o icone, né alla realtà materiale organica, vegetativa, inconscia, sensuale, elementare ma ad un altro luogo: ad un universo sconosciuto, immaginario, visionario, nutrito dalle energie spirituali e dall’immaginario illimitato.
Pur lavorando apparentemente all’interno della grande tradizione occidentale della rappresentazione mimetica del corpo, tutti e tre gli artisti in mostra mettono in discussione questa eredità attraverso il loro irritante e intrigante plasmare di nuove specie di esseri che prendono il loro posto con vitalità ed evidenza all’interno della nostra vita.