Gallery
La Galleria In Arco nasce nel 1987 in uno spazio, in buona parte sotterraneo, già antico camminamento di epoca romana; lì, per un paio di anni, sono state esposte opere su carta di artisti, già molto noti, della scena internazionale. Nell’ottobre 1989 la Galleria trasloca negli spazi, notevolmente più ampi, di un palazzo torinese del seicento, inaugurando quella stagione con una grande mostra di Markus Lupertz; seguiranno, per circa un paio di anni, una serie di esposizioni dedicate agli artisti dell’Arte Povera e della Transavanguardia italiana e tedesca. Infine, all’inizio del 1991, si verifica l’ultimo e definitivo spostamento nella sede attuale, che viene inaugurata con la più concettuale personale mai realizzata da Salvo, denominata “Interni con funzioni straordinarie”.
Da allora si sono susseguiti innumerevoli eventi espositivi, tesi a presentare alcune realtà emergenti della scena nazionale e di quella inglese e americana, culminate nel progetto “Facts & Fictions”, una serie di quattro mostre focalizzanti altrettanti poli della nuova creatività artistica.
Più recentemente, in occasione del ventennale di attività, è stata realizzata la mostra “Vent’anni con gli amici”, arricchita dalla pubblicazione di un ampio catalogo che enumera in maniera esaustiva tutte le mostre organizzate fino ad allora. Nell’autunno 2008 con la mostra “Piazza Vittorio” si è voluto celebrare attraverso le opere di artisti di ieri ed oggi, accomunati dal fatto di essere stati attivi nei dintorni della celebre piazza, il luogo dove è ubicata la galleria stessa.
Infine, nell’ambito delle pubblicazioni edite da In Arco, è stata creata l’anno scorso una nuova linea di cataloghi, denominati In Arco Books; questi sono caratterizzati da una linea snella e corredati, anzichè da un testo critico, da poesie e testi inerenti ed ispirati agli artisti e alle loro opere. I primi tre cataloghi di questa serie sono dedicati alle mostre di Donald Baechler, Alex Katz e Tony Oursler, con il quale è stata realizzata la terza personale dell’artista.
Exhibits
20.09.2024 - 21.05.2025
opening: 19.09.2024
20.09.2024 - 21.05.2025
I dipinti esuberanti e sofisticati di Chico frantumano le categorie oppressive in cui un tempo erano relegati. Rappresentazioni grafiche, spesso mitologiche o incantate, di creature e flora brasiliana sono rese surreali attraverso i suoi colori vivaci, le linee intricate, i modelli vivaci e le caratteristiche esagerate come artigli, lingue e becchi allungati. Altri elementi di figure antropomorfizzate – come bocche aperte che ricevono cibo, grandi occhi incantati e appendici fluttuanti – collegano la natura all’umanità, situando tutta la vita all’interno di un’ampia cosmologia creata dall’artista. Questo approccio narrativo alla pittura, evidente in tutta la carriera di Chico, gli ha permesso di collegare la vita in un’area urbana povera a un regno di sogno e fantasia. Come notò una volta: “Questi mondi che dipingo non sono ricordi di quando ero ragazzo. Questo si chiama immaginazione, scienze occulte, astronomia…” Anche se Chico non raffigurava stelle o pianeti, l’astronomia evocata dalle sue opere suggerisce un’interconnessione più ampia e non gerarchica in cui gli organismi che galleggiano nelle profondità marine rispecchiano la materia che va alla deriva nello spazio.
23.02.2024 - 29.06.2024
opening: 22.02.2024
23.02.2024 - 29.06.2024
LOVE SAVES THE DAY
La galleria In Arco è lieta di annunciare la mostra personale “ Love saves the Day “ dell’artista David Bowes (Boston, 1957) a cura di Federica Maria Giallombardo. L’esposizione, visitabile dal 22 febbraio al 29 giugno 2024 (inaugurazione dalle ore 18:30), è dedicata a due particolari filoni della pittura e dell’installazione di Bowes: da una parte, la serie diritratti e scenari metafisici ispirata alle tavolette dipinte degli ex voto; dall’altra, quasi del tutto inediti, i ‘teatrini’, che armonizzano oggetti concreti ed enti rappresentati, dalla tela alla realtà e viceversa. La trentennale attività artistica di Bowes ha quest’anno riscontrato importante risonanza e riconoscimento: oltre alla mostra presso In Arco, si segnalano in contemporanea le mostre L’Enfant Prodige presso la galleria Andrea Ingenito Contemporary (NA) e Giardino della Terra presso Associazione Barriera (TO), che dimostrano l’estrema varietà di sfaccettature e approcci stilistici dell’artista.
L’esposizione è dedicata a due particolari filoni della pittura e dell’installazione di Bowes: da una parte, la serie di ritratti e scenari metafisici ispirata alle tavolette dipinte degli ex voto; dall’altra, quasi del tutto inediti, i ‘teatrini’, che armonizzano oggetti concreti e quotidiani ed enti rappresentati in contesti straordinari, dalla tela alla realtà e viceversa. La trentennale attività artistica di Bowes ha quest’anno riscontrato importante risonanza e riconoscimento: oltre alla mostra presso In Arco, si segnalano in contemporanea le mostre L’Enfant Prodige presso la galleria Andrea Ingenito Contemporary (NA) e Giardino della Terra presso Associazione Barriera (TO), che dimostrano l’estrema varietà di sfaccettature e approcci stilistici dell’artista. David Bowes (Boston 1957) ha intrapreso un percorso artistico straordinario, plasmando un linguaggio visivo distintivo. Nel 1986 entra a far parte in maniera permanente nella collezione Terrae Motus, voluta da Lucio Amelio dopo il terremoto dell’Irpinia nel 1980 e oggi custodita alla Reggia di Caserta. Significativa fu la sua presenza alla Biennale di Venezia nel 1999. La formazione dell’artista, influenzata fin dalla giovane età dalla pittura figurativa italiana, lo porta a compiere passi totalmente indipendenti dalle correnti e dalle mode del momento, nonostante la frequentazione dei più rilevanti milieu artistici del suo tempo. Fondamentale per la sua carriera sarà l’incontro e l’amicizia con alcuni artisti e galleristi di fama internazionale, tra cui gli americani Jean Michel Basquiat, George Condo, Keith Haring e gli italiani Luigi Ontani, Nicola De Maria, Mario Schifano ed Emilio Prini. Si annoverano, tra le gallerie e istituzioni in cui ha esposto: Annina Nosei Gallery, Tony Shafrazi Gallery, Galleria Sperone, Claudia Gian Ferrari Arte Contemporanea, Galleria In Arco, Studio Raffaelli, Galleria Mimmo Scognamiglio, Al Blu di Prussia e al PRAC (Centro per l’Arte Contemporanea).
Biografia
David Bowes (Boston 1957) ha intrapreso un percorso artistico straordinario, plasmando un
linguaggio visivo distintivo. Nel 1986 entra a far parte in maniera permanente nella collezione
Terrae Motus, voluta da Lucio Amelio dopo il terremoto dell’Irpinia nel 1980 e oggi custodita alla
Reggia di Caserta. Significativa fu la sua presenza alla Biennale di Venezia nel 1999.
La formazione dell’artista, influenzata fin dalla giovane età dalla pittura figurativa italiana, lo porta
a compiere passi totalmente indipendenti dalle correnti e dalle mode del momento, nonostante la
frequentazione dei più importanti contesti artistici del suo tempo. Fondamentale per la sua carriera
sarà l’incontro e l’amicizia con alcuni artisti e galleristi di fama internazionale, tra cui gli americani
Jean Michel Basquiat, George Condo, Keith Haring e gli italiani Luigi Ontani, Nicola De Maria,
Mario Schifano ed Emilio Prini.
Si annoverano, tra le gallerie e istituzioni in cui ha esposto: Annina Nosei Gallery, Tony Shafrazi
Gallery, Galleria Sperone, Claudia Gian Ferrari Arte Contemporanea, Galleria In Arco, Studio
Raffaelli, Galleria Mimmo Scognamiglio, Al Blu di Prussia e al PRAC (Centro per l’Arte
Contemporanea).
Altre mostre di David Bowes:
https://www.ai-ca.com/andrea-ingenito/2024/01/10/david-bowes-l-enfant-prodige/ https://www.associazionebarriera.com/exhibitions_events/garden-of-the-earth/
15.09.2023 - 31.12.2023
opening: 14.09.2023
15.09.2023 - 31.12.2023
La mostra presenta una selezione di lavori partendo dall’utilizzazione e la manipolazione di materiali di uso comune sperimentando ed elaborando di volta in volta tecniche e metodi inediti. La piegatura, la trasformazione, le bruciature e le cancellazioni di testi e immagini oltre alla manipolazione di fotografie e stoffe diventano sin dagli anni ottanta il suo marchio di fabbrica. Arienti attraversa molte tematiche ma soprattutto si focalizza su quella della percezione visiva, lasciando e coinvolgendo lo spettatore in un processo mentale indipendente. Il lavoro interpretativo di Arienti si potrebbe definire un vortice di ludicità infantile, misteriosi giocattoli resi sempre più affascinati dalla sedimentazione del tempo. Le opere scelte per l’esposizione offrono un quadro organico dell’attività di Arienti, dai primi esempi fino ad opere pensate appositamente per l’esposizione. Ne risulta uno spaccato della complessa personalità di un artista versatile che ha saputo reinventare in modo efficace il proprio linguaggio diventando uno dei punti di riferimento dell’arte italiana degli ultimi vent’anni. In mostra, Puzzle, Traforati, Turbine, offrendo una visione completa dell’opera di questo artista che sperimenta tutte le possibili potenzialità dei materiali manipolati.
Stefano Arienti nasce ad Asola in provincia di Mantova nel 1961 ma ben presto si trasferisce a Milano dove vive tuttora. Laureatosi alla facoltà di Agraria, intraprende la carriera artistica che già aveva iniziato frequentando a Milano la Brown Boveri, una fabbrica in disuso diventata luogo d’incontro e sperimentazione libera per molti giovani artisti: l’apertura al pubblico di questi spazi nel maggio del 1985 rappresenta il suo esordio nelle esposizioni. Nel 1986 inaugura la sua prima personale presso lo studio di Corrado Levi a Milano, la mostra è poi seguita alla Galleria Guido Carbone di Torino. Partecipa a diverse mostre collettive diffondendo la sua opera anche in Europa: l’artista è a Londra e in Francia nel 1989. Nel 1989 espone presso lo Studio Guenzani a Milano.Nel 1995 i libri diventano addirittura enormi nell’esposizione di Brescia. Nel 1990 partecipa alla sezione “Aperto” della XLIV Biennale di Venezia, espone in Germania. Nel 1996 vince il primo premio alla XII Quadriennale di Roma. Nel 1997 alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma apre la sua grande stagione espositiva che lo vede presente nello stesso anno oltre che al Palazzo delle Esposizioni a Roma, anche a Milano, Torino e Prato e ancora all’estero è presente due volte a Ginevra, a Kiev e Salisburgo, partecipa inoltre alla IX Triennale in India. Sono di scena le opere di grandi dimensioni, che fin dal ’95 segnavano i suoi lavori, e le opere di interazione con lo spazio urbano prima come “I murazzi dalla cima” a Torino, poi con il pubblico con “Corte di Dei” sempre ai murazzi di Torino, fino al “Tappeto” attualmente al Castello di Rivoli. Nel 1999 presenta le sue opere all’Istituto Italiano di Cultura a Los Angeles e a Londra. Partecipa alla XXIII Biennale di Arti Grafiche a Lubiana, spostando quindi il suo interesse verso il disegno. Nel 2000/2001 partecipa a “Migrazioni” al nuovo Centro per le Arti Contemporanee di Roma. Mostra personale per i bambini presso il Castello di Rivoli a Torino. Per la città natale nel 2017 ha dipinto e donato al Museo civico Goffredo Bellini sei grandi opere su teli antipolvere che riproducono Sant’Andrea e Sant’Erasmo. I due Santi sono visibili sul lato esterno delle ante dell’organo della Cattedrale di Sant’Andrea. L’organo monumentale venne interamente dipinto ed affrescato da Girolamo Romanino. Nel 2020, a seguito dell’emergenza legata al COVID-19ha partecipato al progetto Poster Quotidiano
26.01.2023 - 30.06.2023
opening: 25.01.2023
26.01.2023 - 30.06.2023
La Galleria In Arco è lieta di presentare a partire da martedì 25 gennaio una mostra dedicata a Fano Festa, uno dei protagonista della cosiddetta scuola pop romana. Fratello di Francesco Lo Savio, aveva frequentato l’Istituto d’arte di Roma, diplomandosi in fotografia nel 1957, impostando la propria opera sull’esempio di Cy Twombly e della pittura gestuale e informale. Lo Savio venne presentato nella mostra 0+0 alla Galleria La Salita di Roma nel 1961, con lavori di Mack, Klein, Piene e Uecker, anche se in quell’occasione non venne capito il suo tentativo di affermare che la luce esiste solo in relazione al suo contrario. Festa, che pure fu molto influenzato dal fratello, dopo lo shock del suo suicidio si allontanò dal concetto di dissoluzione dell’immagine, cercando di recuperarne delle tracce. Con l’annessione di “particolari” di opere rinascimentali nei suoi dipinti, Festa espresse l’intenzione di perseverare e di preservarne l’immagine, anticipando di una ventina di anni la corrente post-moderna. La sua prima partecipazione pubblica avvenne nel 1959 insieme a Franco Angeli e Giuseppe Uncini, in una mostra collettiva presso la galleria La Salita di Roma, mentre nel 1961 tenne la sua prima esposizione personale dove, accogliendo con rigore formale le soluzioni new dada, propose una serie di immagini raffiguranti isolati oggetti monocromi di uso quotidiano. Tipiche di quel periodo sono le persiane, gli specchi e le finestre, strutture volumetriche che diventano supporto della sua attività di pittore. Dal 1963 l’attenzione di Festa si soffermò anche sui maestri della tradizione italiana e del Rinascimento – in particolare il Michelangelo della Sistina e delle Cappelle Medicee – interpretati come icone pubblicitarie nelle serie dedicate a Michelangelo, alle “Odalische” e quella denominata “Dal Peccato Originale”, tutte opere realizzate a partire dal 1966. Successivamente viene invitato a partecipare alla Quadriennale di Roma del 1965, quindi dopo un difficile periodo di scarsa creatività e di deludente riconoscimento da parte della critica, la sua presenza è richiesta alla Biennale di Venezia del 1980. Durante gli ultimi anni della sua fulminante esistenza, nei luoghi della periferia romana, delle baracche e delle ultime osterie fuoriporta concepisce, partorendo ‘la luce d’Egitto’, opere di matrice geometrica-concettuale. Muore nel 1988 a Roma, dopo una lunga malattia e in condizioni di precaria indigenza.
La mostra resterà aperta a partire dal 27 gennaio dal martedì al sabato, con esclusione dei giorni festivi.
16.09.2022 - 31.12.2022
opening: 15.09.2022
16.09.2022 - 31.12.2022
Appendice della mostra: Doppio sogno
Con un testo critico di Stefania Margiacchi
Opening 15 settembre ore 19.00
Dal 15 settembre al 16 ottobre, ore 19.00 – 24.00
Société Interludio Project Space, via Torino 3, Cambiano (TO)Le congiunzioni, le lontananze, l’incomunicabilità con l’ambiente esterno e i punti di contatto universali tra piacere dissoluto e introspezione sentimentale sono articolati in tre momenti, corrispondenti a tre esposizioni interconnesse.
Prefazione: Le esistenze impossibili si presenta al pubblico come una sorta di camera di decompressione prima dell’intercedere in un mondo di enigmi privati e metamorfosi psichiche, rilevando gli istanti di iato tra la vita nel mondo reale e la creazione artistica che plasma nuovi concetti, incomunicabili al di fuori dell’opera. In apertura, il quadro Conflict Dance introduce i temi che verranno poi esacerbati a seguire. Ispirandosi liberamente all’Orlando di Virginia Woolf, l’opera sintetizza concetti quali trasformazione e mutamento, lasciando aperto il concetto del divenire. Figura mitologica che fonde insieme la figura del femmine e del maschile – come anche del fiore e della pianta del banano che simbolicamente riassumeranno nei quadri a venire la dicotomica contrapposizione- ma allo stesso tempo fusione – dei due sessi, Le esistenze impossibili sono residui di paradosso, giacenze di significato misterioso alla base della poetica di Mulas.Altrettanto insita nell’animo dell’artista, in un tripudio accanitamente sgargiante di colori e attraversando multiformi temerarie tecniche, è la concezione che guida la lettura di ALL THE STARS OF YOUR NIGHT, svolgimento principale del discorso dedicato ai familiari e a se stesso, dove la materializzazione dell’innocenza, decodificata quale sessualità simultaneamente erotica e libera, primitiva e raffinata, smaliziata e fanciullesca, sovrappone con prorompente spontaneità attitudini e orientamenti. I simboli privati vengono sottratti al principio della comunicazione trasparente, con un linguaggio arcano che rafforza l’elemento percettivo rispetto a quello conoscitivo evidenziando il dato istantaneo, ovvero ciò che è astratto ma effettivamente percepito, ed esasperando al contempo la concretezza dell’oggetto. Un codice espressivo peculiare, che apre il vitalismo tenace del soggetto ai contesti di memoria collettiva – una vera e propria “lettera aperta agli affetti”, questi ultimi personaggi aggraziati e potenti, totemiche allegorie nel vagare di stelle insinuatesi nella composizione.
Chiusa separata ma di direzione parallela è infine la visione di Doppio sogno: riutilizzando la metafora del sogno – così come già fatto nell’introduzione alla mostra – anche in questo caso si racconta l’infanzia fino alla scoperta della sessualità e del suo superamento da parte della donna amata. In un moto che ricalca quello della mostra presso gli spazi della galleria In Arco, attraverso delle tappe di ricordi plasmati dal sogno e dalla riscrittura fantastica e metaforica del personaggio femminile e della sua sessualità, si chiude un cerchio dove le pulsioni, i traumi e i ricordi (ed i superamenti) di ambo i protagonisti sono motore di un mondo parallelo in cui le fantasie invadono e fagocitano il reale. I corpi non sono più delle carni individuali ma confini speculari, “porzioni di universi costruiti da una moltitudine si stelle”
La mostra del resto è in ogni sua parte tesa alla condivisione – il “YOUR” del titolo principale allude all’ambivalenza tra la “tua” e la “nostra” notte – emotiva prima ancora che tangibile, alla ricerca di un interlocutore dotto e altresì comprensivo, in grado di trattare la materia con delicatezza e ironia.
Giuseppe Mulas è nato ad Alghero nel 1995. Attualmente vive e lavora aTorino, dove nel 2019, presso l’accademia Albertina, ha conseguito la laurea magistrale in pittura.
Dal 2019 al 2022 ha collaborato con la galleria Peola Simondi, che ha presentato sua prima mostra personale, Sleep well childhood.
Nel 2020 ha partecipato a una collettiva per Artissima Unplugged presso la Gam di Torino, curata da Ilaria Bonacossa.
Tra le ultime esposizioni si ricorda la mostra curata da Luca Beatrice per rappresentare l’intesa San Paolo alla fiera di Miart nel 2022 e la partecipazione alla mostra Sei Pittori nel 2021 a cura di Société Interludio in collaborazione con la Galleria del Ponte e Francesco Poli, presso la casa-museo di Felice Casorati di Pavarolo.
09.02.2022 - 11.06.2022
opening: 09.02.2022
09.02.2022 - 11.06.2022
Le tappe fondanti del percorso di James Brown sono indagate in questa mostra attraverso un’ampia escursione espositiva, quasi una raccolta monografica volta a restituire il ritratto pregnante di un artista il cui valore internazionale è stato ampiamente riconosciuto da mostre e progetti in prestigiose sedi istituzionali, quali la GAM di Torino, il MAGI ‘900 di Bologna, e il Museo d’arte contemporanea di Oaxaca, solo per citarne alcuni.
James Brown era nato il 26 ottobre del 1951 a Los Angeles, California ed è scomparso, insieme alla moglie Alexandra, in un incidente d’auto nel febbraio 2020. La sua opera si era sin dall’inizio evidenziata per le sue tematiche semi-figurative, espresse in dipinti avvicinabili all’ingenua visione del mondo nell’immaginario dei bambini. Dopo aver frequentato alla fine degli anni ’70 l’École des Beaux-Arts di Parigi, agli inizi degli anni ’80 Brown era ritornato a New York, per iniziare la sua carriera presentato con altri artisti graffitisti in una mostra alla Tony Shafrazi Gallery e successivamente esponendo in un contesto internazionale nelle gallerie di Leo Castelli, Daniel Lelong e Bernd Klüser.
James Brown è stato spesso descritto come un esploratore, uno sciamano, uno scienziato, persino un indovino. Se nella sua fase iniziale la figurazione ricopriva un ruolo fondamentale – sotto forma di ieratici ritratti bidimensionali – verso la metà degli anni ’80 la pittura di James Brown diventa più astratta, materica e spirituale, ponendo una congiunzione sciamanica tra essere umano ed entità divina, argomentazione che prosegue fino ai lavori più recenti. Nella serie di opere “Opus contra Naturam” – installata in una mostra alla GAM di San Marino nel 2003 – James Brown pone l’attenzione ai materiali, utilizzando il collage abbinato alla pittura. Si tratta di un periodo ricco di riferimenti ai viaggi e alle culture del mondo, in cui Brown recupera modelli antropologici antichi, rielaborandone i materiali secondo un’estetica coerente e rigorosa. Questa fase precede la più recente, intensa serie di lavori: si tratta della ricerca sul cielo, sul moto degli astri, sulle eclissi, visualizzate dall’artista come fenomeno multisensioriale a partire dall’estate del 1999.
L’artista negli ultimi anni ha vissuto e operato tra Mérida in Messico e Parigi. Il suo lavoro fa anche parte di numerose collezioni private e pubbliche in tutto il mondo, tra cui il Museum of Modern Art, il Whitney Museum of American Art e il Metropolitan Museum of Art a New York, Stati Uniti; il Centre Georges Pompidou a Parigi, in Francia; il Kolumba Museum di Colonia, in Germania; il Centro per l’artecontemporanea di Malaga, in Spagna e nel 2017 il Museo Diego Rivera-Anahuacalli, in Messico. Nel 2011 è stato presentato alla GAM di Torino nella mostra Firmament curata da Danilo Eccher. La mostra prendeva il titolo da una serie realizzata da Brown tra il 2007 e il 2010, costituita da nove dipinti di grande formato ed alcuni studi preparatori. L’opera era il risultato dell’approfondimento teorico di Brown, che ne affondava le radici nei suoi riferimenti culturali: Lo spirituale nell’arte di Vassilij Kandiskij, la Suite The Planets del compositore inglese Gustave Holst, il poema letterario The Cosmos Trilogy dello scrittore americano Frederick Seidel.
15.09.2021 - 31.12.2021
opening: 14.09.2021
15.09.2021 - 31.12.2021
La mostra presenta tre artisti piuttosto diversi nel proprio operare creativo.
Carla Accardi aderisce nel 1947 al gruppo “Forma 1″, dove è presente anche Giulio Turcato. Il movimento é sostenitore di un’arte strutturata ma non realistica, che dà importanza alla forma ed al segno nel loro significato basico essenziale, eliminando nelle loro opere ogni pretesa simbolista o psicologica – in quanto basato su fondamenti di matrice marxista – quasi una mediazione tra i due opposti linguaggi dell’arte italiana di quel periodo, divisa tra astrattismo e realismo. Col passare del tempo ogni artista del gruppo svilupperà un linguaggio personale, dall’astrattismo alcuni di essi torneranno al figurativo, mentre il discorso astratto verrà portato avanti soprattutto dalla Accardi, ricercatrice e sperimentatrice del genere, secondo una personale poetica legata al segno-colore con divagazioni materiche ed informali in una ricerca continua, uscendo dalla dimensione del quadro e coinvolgendo lo spazio circostante, in una serie di installazioni fino al recupero di una dimensione più tradizionale.
Mimmo Rotella inizia col dipingere quadri astratto-geometrici ispirati alle opere di Kandinskij e Mondrian fino alla scoperta del manifesto pubblicitario come espressione artistica. Così nasce il dècollage, prelevando dai muri di Roma e incollando sulla tela pezzi di manifesti – strappati per strada e successivamente rielaborati nello studio – e adottando il collage dei cubisti contaminato con elementi mutuati da una matrice astratto/informale. Rotella esegue anche assemblaggi e ready made con oggetti acquistati da rigattieri come tappi di bottiglia, corde, ceste di vimini e pezzi di stoffa; questo rimando all’oggetto di uso comune e quotidiano lo avvicina alle pratiche coeve della Pop Art britannica e statunitense. Quando non esplicitamente astratti i dècollages si caratterizzano per la presenza figurata dei divi del grande schermo e della musica o derivati da manifesti pubblicitari in cui il prodotto è chiaramente enfatizzato.
Giulio Turcato esprime nella sua pittura – sempre leggera, nitida e inafferrabile – le rotte principali dell’arte italiana ed europea, le vibrazioni e gli stimoli dettati da una grande libertà creativa che ha sempre evidenziato un certo nomadismo linguistico. I suoi dipinti appaiono sempre diversi ed essenziali e ciò emerge nella concretizzazione – cromatica, segnica e spaziale – di emozioni individuali intense e sottili, spesso intrise di valenze fantastiche, senza per questo diventare simboliche. Per l’artista la pittura moderna deve essere imperniata sul colore come espressione emotiva e psicologica, le sue opere sono immagini, materiali, memoria, illusioni, allucinazioni forme ed itinerari che si propongono come proiettati in un prossimo futuro millennio. I suoi dipinti acquistano così un’evidenza che coinvolge lo spettatore attraverso un impianto non solo visivo, ma anche concretamente fisico.
Carla Accardi: Trapani, 9 ottobre 1924 – Roma, 23 febbraio 2014
Mimmo Rotella: Catanzaro, 7 ottobre 1918 – Milano, 8 gennaio 2006
Giulio Turcato: Mantova, 16 marzo 1912 – Roma, 22 gennaio 1995
24.04.2021 - 30.06.2021
opening: 24.04.2021
24.04.2021 - 30.06.2021
La mostra è impostata su un insieme molto variegato di opere grafiche di tipologia varia, che documenta tutto l’arco della ricerca artistica dell’artista, dagli inizi degli anni’50 alla fine degli’80, oltre quarant’anni di vita artistica complessa e innovativa.
Andy Warhol va sicuramente considerato come uno dei principali riferimenti a cui tuttora si riconduce la maggior parte dei grafici pubblicitari e art designers di tutto il mondo. L’eleganza e la sinuosità delle sue linee, unite ad un formidabile senso cromatico, rendono inconfondibile il suo styling, sempre così moderno ed aggressivo. L’artista si è sempre attenuto – nel trionfo della serialità e trattando qualsiasi tipo di immagine – alle modalità linguistiche e comunicative della cultura di massa, dove fobie, ossessioni, desideri ed ideali si confrontano con l’immagine ammiccante del kitsch e del cattivo gusto imperante, mirando a coniugare desiderio ed aspirazione al bello nel none dell’utile tout-court. La sua ricerca deriva dalle proprie ossessioni, poiché – nell’ostentazione fredda e quasi impersonale di rappresentare persone, oggetti e animali – risulta evidente il tentativo di dare una giustificazione a tutto ciò che ci circonda, quasi un perenne e costante elogio dell’american way of life. L’artista e interessato praticamente da tutto, ampliando così il proprio repertorio iconografico grazie all’infallibile sicurezza del suo occhio fotografico, abile ad operare con obiettività e freddezza; con indifferente equanimità ha reso omaggio a personaggi celebri o totalmente sconosciuti, a prodotti commerciali notissimi ed ai più banali oggetti quotidiani, scavando nel mito e nell’immaginario collettivo.
Con il suo proverbiale aplomb Warhol non ha mai cessato di stupire, frastornare e scandalizzare il pubblico, elaborando incessantemente immagini di tipologia e significato diverso, avvicendando emozioni di taglio sensazionalistico, sapienti e intriganti. La sua formula era basata su di una essenziale riduzione formale, manipolando ogni cosa con il proprio personalissimo lessico pop. Nel suo universo l’immagine diventa più artificiale , autoproducendosi con il consumo della sua vita, senza nemmeno avere il tempo per consolidarsi, poiché al suo interno già ha avuto inizio un processi di logoramento che produce un’inevitabile frustrazione dell’occhio e della psiche nello spettatore.
Inaugurazione: sabato 24/4, dalle ore 11 alle 19
Orari galleria: dalle 10 alle 12,30 e dalle 16 alle 19,30
Chiuso il lunedì e festivi
11.02.2021 - 01.05.2021
opening: 11.02.2021
11.02.2021 - 01.05.2021
Questa mostra mette a confronto tre artiste molto diverse, ma unite dalla complessa personalità del proprio linguaggio. Entrambi utilizzano – se non in modo peculiare, come nel caso della Woodman – il proprio autoritratto, in modo citazionista per Floria Sigismondi o con fini evocativi, come nel caso di Michela Forte. Altro elemento caratterizzante è la creazione di personali set, dove inscenare le proprie realizzazioni utilizzando materiali eterogenei e non convenzionali. Tutto ciò messo a confronto porta ad istintive riflessioni sul fare arte e sul coinvogimento personale, affrontando temi classici ed esistenziali che non hanno limiti di tempo e di interazione.
Francesca Woodman sviluppa, attraverso le sue immagini, temi filosofici e psicologici, creando all’interno del proprio ambiente domestico personalissime architetture che evocano antichi miti. Isolata nel suo studio la Woodman ha saputo raccontare l’ epoca della sua generazione, partendo dai ricordi d’infanzia e svelando senza remore né pudori le sue più intime paure e frustrazioni.
Floria Sigismondi, perfettamente integrata in un preciso background culturale nato nella prima metà degli anni ’90, ha sviluppato un linguaggio visivo basato sulla citazione, la ripetizione differente e la trasversalità dei contesti, proponendo un immaginario basato su un attento studio della realtà e delle sue possibili forme ed espressioni. Nella sua opera traspare un vago malessere esistenziale, un modo nuovo di intendere il corpo ed il linguaggio che ne consegue, esprimendone tutta l’inquietudine contemporanea.
Michela Forte, già dai primissimi autoritratti realizzati all’interno dei set fotografici domestici, esprime una fitta rete di simbologie e rimandi letterali che alterano la lettura delle immagini, disseminando qua e là tracce di desiderio, di celate intenzioni ed introspezioni. L’uso stesso che fa l’artista del bianco e nero, controllando minuziosamente sfumature e contrasti in camera oscura, colloca la sua opera in una dimensione più astratta e onirica; la sua opera viene realizzata con l’utilizzo di oggetti inconsueti, strumenti medicali e comuni elementi naturali nei quali l’artista trasferisce le proprie emozioni, in un processo simile a quello del transfert psicanalitico.
22.09.2020 - 16.01.2021
opening: 10.12.2020
22.09.2020 - 16.01.2021
Leandro Agostini
In mostra grandi disegni su carta che prendono varie declinazioni, come corpo, messaggio, contesto. La prima sezione è dedicata a ritratti femminili: le Naiadi. Creature evanescenti, sensuali e irrequiete, che condensano il senso profondo della femminilità. Ninfe e donne senza tempo. La partenza è il gesto, sempre a matita in grafite. L’essenzialità ne è la caratteristica primaria che racchiude tutto in pochi tratti evocativi. Pochi segni per scolpire, senza il peso della materia o della definizione compiuta. La linea accenna una forma e attorno ognuno ne vede il paesaggio o gli altri dettagli, in libere composizioni personali. La seconda è dedicata a disegni fatti con le matite acquerellabili dove l’acqua intercettata dalla punta della matita si spande fino al suo prosciugarsi in superfici colmate da una ripetuta segnatura pop. Personaggi dei fumetti si alternano a scene rubate al cassetto della memoria, dove la percezione sfuma continuamente dall’astratto al figurativo, suggerendo racconti senza mai darne conferma.
Marcel Dzama
Lo stile apparentemente innocuo di Dzama svela a questo punto una funzione che ha ben poco a che spartire con l’evasione fantastica: la sottile linea chiara è affilata come un coltello e cattura con precisione chirurgica un universo selvaggio, dominato da pulsioni primitive, irrazionali e violente, molto più nero della più oscura foresta delle fiabe. Seguire i sentieri delle favole di Dzama significa, prima o poi, uscire dal percorso battuto e ritrovarsi in un campo di prigionia. Senza lieto fine. È allora ironico, crudele, provocatorio raccontare una tragedia con la grammatica di una fiaba? Secondo Deborah Solomon “la lugubre sensibilità da favola di Dzama esemplifica in qualche modo la più recente tendenza dell’arte contemporanea. Chiamiamola ‘cute tragedy’ o ‘tragic cuteness’: in entrambe i casi fa riferimento agli impulsi di una generazione postwarholiana che usa le forme dell’arte popolare dei bambini per esprimere un sorprendente assortimento di sentimenti adulti”.
Chris Hammerlein
Emerso nell’edizione del 2000 di Greater New York, Hammerlein usa il disegno come libero sfogo di una volontà liberatrice, in cui possono emergere i lati più oscuri ed inquietanti della personalità umana. Utilizzando toni linguistici in continua evoluzione, con tratti spesso più marcati e quasi gestuali, la sua vena risulta contemporaneamente comica e drammatica, ironica e triviale. I suoi disegni sono un proliferare apparentemente caotico di mille spunti e idee, utilizzando spesso tematiche sessuali in una versione cruda e anticonsolatoria, frutto di fantasie apparentemente distorte ma rese normali, se non addirittura banali, senza alcuna intenzione moralistica, come nella migliore tradizione dell’american trash e dello splatter. Tutto quello che può apparire provocante ed offensivo viene catturato dal suo talento visivo, che sa stemperare la volgarità con sottile e lucida ironia.