Gallery
metroquadro
Corso San Maurizio 73/F
10124 Torino
orario d’apertura:
gio-sab 16-19
open:
Thu-Sat 4-7 pm
Nel 2011 ha organizzato la tappa torinese della mostra itinerante ‘The Changing Rooms’, curata da Aida Eltorie (curatrice del padiglione Egiziano alla 54 Biennale Venezia) che ha esposto i lavori di 15 artisti dell’area mediorientale e nordafricana, contemporaneamente allo svolgersi della primavera araba.
Exhibits
20.09.2024 - 16.11.2024
opening: 19.09.2024
20.09.2024 - 16.11.2024
La produzione di Rollins è composta da dipinti a olio, acrilici, disegni a carboncino e collage di carta su tela, utilizzando differenti medium, tra cui matita, acrilico, acquerello, penna e inchiostro e, nell’ultima produzione, materiale tessile.
Nel corso della sua carriera, Rollins ha esposto in prestigiose gallerie e istituzioni artistiche in America, Europa e Asia. La galleria metroquadro dal 2012 ha presentato i suoi lavori in tre mostre personali ed una collettiva, oltre a sei edizioni di Art Miami Context, tra Miami e New York.
La mostra “Welcome to Electric Ladyland” offre una panoramica della più recente produzione artistica di Monique Rollins, affiancata da opere precedenti, tracciando un excursus della sua carriera. Un catalogo monografico a cura di Roberto Mastroianni, edito da Prinp Edizioni d’arte, accompagna l’esposizione, fornendo ulteriori approfondimenti sul percorso creativo dell’artista.
L’astrazione post-espressionista della Rollins ha, infatti, la capacità di istituire uno spazio estetico, che si presenta come un portale verso un’altra dimensione, in cui pensiero, immaginazione e spirito si incontrano, dando vita a una molteplicità di narrazioni aniconiche capaci di interpellare l’osservatore e con esso instaurare un dialogo sulle questioni esistenziali dell’umano. Il fruitore è spinto a seguire le forme e i colori delle opere, come se fossero mappe per viaggi interiori, e quando sembra di aver trovato una percezione conclusiva o di aver ascoltato l’ultima strofa di questa musica silenziosa, ecco proprio in quel momento sembra iniziare una nuova storia, una nuova sinfonia di colori e forme.
In effect, Rollins’ post-expressionist abstraction manages to generate an aesthetic space that presents as a portal to another dimension in which thoughts, imagination and spirit come together, giving life to a multiplicity of aniconic narrations that question the observer and establish a dialogue with them around the existential issues of the human being. The beneficiary is encouraged to follow the forms and colours of the works as if they were maps for inner voyages and, when they believe they have achieved a final understanding or to have listened to the last verse of this silent music, then suddenly a new story seems to begin, a new symphony of colours and forms.
Roberto Mastroianni
03.05.2024 - 22.06.2024
opening: 02.05.2024
03.05.2024 - 22.06.2024
MOSTRA 1
SHINYA SAKURAI | marks and traces
giochi di luce,
sembianze profonde e cupe,
simboli rivelatori,
stelle abbaglianti,
tracce e strutture ipnotiche
tra reale e immaginario
L’esposizione “marks and traces” segna una ricorrenza nel percorso dell’artista giapponese Shinya Sakurai (Hiroshima, 1981), conosciuto per il suo linguaggio iconico, ermetico ed astratto: vent’anni dal suo arrivo a Torino, città in cui dal 2004, con Osaka, divide vita e lavoro.
In queste sue ultime tele, i segni fluidi e le composizioni geometrizzanti lasciano scie che, come impronte, tracciano un percorso personale, pregno di nuovi indizi.
L’artista abbandona le colorate ed iridescenti geometrie per dedicarsi a differenti giochi di luce, sembianze profonde e cupe, rivelatrici di una contemporaneità in continuo mutamento. Gli avvenimenti degli ultimi tempi hanno infatti lasciato sulle sue tele tracce e segni inequivocabilmente e indelebilmente densi e carichi, simboli rivelatori della complessità del presente.
L’artista ha scelto come supporto per tutte le opere esposte il velluto, ad esprimere appunto la serietà dei tempi, ma anche base elegante ed essenziale.
Su queste superfici monocrome emergono però pennellate fluide, realizzate con colori ad olio, resine e colle traslucide, a formare squarci di luce e stelle abbaglianti, che illuminano ed evocano armoniose simmetrie, simboli di fiducia e speranza per il futuro.
Le composizioni di Shinya Sakurai fluttuano in uno spazio profondo animato da segni e tratti simbolici, tracce e strutture ipnotiche in grado di evocare atmosfere tese tra il reale e l’immaginario, sempre emotivamente e visivamente coinvolgenti.
Stesso giorno ed ora, inaugura negli spazi di Tomdesign, attigui alla galleria, in Corso San Maurizio 73, la mostra “Piccola scatola di cristalli” della giapponese Yoshiko Suzuran.
MOSTRA 2
ERWIN OLAF
La galleria ricorda il fotografo Erwin Olaf, recentemente scomparso, con una selezione di fotografie dalle sue prime quattro serie: Rain (2004), Hope (2005), Grief (2007) e Hotel (2010).
Ritratti in scorci di interni, attimi sospesi che suggeriscono insondabili panorami interiori.
Orario di galleria: giovedi, venerdì e sabato dalle 16 alle 19
Erwin Olaf: Hope, Portrait (2005), ed. 14/15, 22 x 22 cm
03.02.2024 - 28.03.2024
opening: 02.02.2024
03.02.2024 - 28.03.2024
Dal testo critico di Mattia Solari: “Tutto è interconnesso, e tutto è animato da energie dalle diverse tonalità e vibrazioni che confluiscono tra loro. L’opera d’arte è dunque uno strumento che registra il passaggio di una forza“.
Orario della galleria: gio – ven – sab | ore 16 – 19 o su appuntamento
Gianluca Capozzi, Untitled 64, 2023, acrilico su lino, 100 x 80 cm
15.09.2023 - 16.12.2023
opening: 14.09.2023
15.09.2023 - 16.12.2023
MEL BOCHNER (Pittsburgh 1940) nel 1966 organizza a New York quella che sarà definita la prima mostra di arte concettuale della storia. Da sempre il suo lavoro è incentrato sul linguaggio, il suo significato e la sua rappresentazione. Vanta una sterminata serie di esposizioni in gallerie private ed è presente nelle collezioni permanenti di MET, MoMA e Whitney Museum di New York, Tate Modern di Londra, National Gallery di Washington, MOCA di Los Angeles. Metroquadro ha presentato in Italia i monoprints di Mel Bochner fin dal 2009, anno in cui l’artista ne ha iniziato la produzione.
In questa sua quinta personale presso la galleria, sono in mostra gli ultimi lavori, ormai diventati iconici.
orari: gio – sab 16 – 19
MEL BOCHNER (b. 1940)
Blah, Blah, Blah, 2022
Monoprint in oil with collage, engraving and embossment on handmade paper
69.2 x 57.2 cm
06.05.2023 - 23.06.2023
opening: 05.05.2023
06.05.2023 - 23.06.2023
ore 16 – 22
partecipa a OUVERTURE
sabato 6 maggio ore 17 – 23
Le fotografie degli artisti Christophe Von Hohenberg, Erwin Olaf e Steve Sabella sono disposte nei tre differenti spazi della galleria e raccontano la loro visione di libertà individuale e collettiva e il tema dell’identità sociale.
Christophe Von Hohenberg con il suo reportage: The Day The Factory Died, ci presenta il memoriale fotografico della morte di Andy Warhol, il cordoglio di un’epoca che dovrà poi emanciparsi dalla figura geniale dell’artista e da ciò che ha rappresentato.
Nelle serie fotografiche Hope, Grief, Rain e Hotel di Erwin Olaf il desiderio di disinibizione e di rottura rispetto all’ipocrisia sociale si colgono in una dimensione privata, all’interno delle nostre case, dove l’oppressione esercitata dalla società viene superata dalla trasgressione, dall’erotismo e dalla provocazione.
Con le sue serie recenti, tra cui On Earth e Everland, Steve Sabella giunge all’atto estremo, alla fuga verso un mondo nuovo, immaginario, da lui ricostruito, a cui sente finalmente di appartenere, lontano dalla complessa e claustrofobica realtà.
orario della galleria
gio – ven – sab | ore 16 – 19
o su appuntamento al 328 4820897
28.01.2023 - 04.04.2023
opening: 27.01.2023
28.01.2023 - 04.04.2023
PAROLE NUDE :
INCONTRO CON L’ARTISTA DARIO NEIRA
E LA CURATRICE OLGA GAMBARI.
MARTEDI 4 APRILE ORE 19:
30 POSTI DISPONIBILI
R.S.V.P.
Nella vita, alla fine è sempre una questione di pelle.
L’incontro, la conoscenza, la condivisione, l’amore e l’odio, non possono che passare per la pelle,
perché la pelle è quella parte, corazza e vibrissa insieme, che entra realmente a contatto con l’altro,
l’esterno, il fuori.
La pelle è sempre in prima linea, scrive Chandra Candiani in un suo verso.
Pelle viva e sensibile, resistente e fragile, che si fa diario biografico, testimone dell’identità a cui
appartiene, un documento di riconoscimento. Elemento di appartenenza comune al genere umano.
Per Dario Neira l’umanità è un grande e continuo skin scape, come lui lo definisce, un paesaggio
irregolare e metamorfico, assemblato con un mosaico di pelli che nascono e vivono, vicine e lontane,
ciascuna una parte per il tutto di ciò che noi siamo come specie. Uno skin scape che traduce la sua
visione del mondo, il suo occhio che si è educato nella pratica della medicina, dove, sotto abiti,
acconciature e orpelli, l’uomo, la donna, sono nudi, sono corpi. Rivestiti di pelle. Che respirano e si
manifestano attraverso la pelle. E per un medico la pelle diventa un terreno di indagine, rivelazione.
Anche di pietà. E infatti Neira è andato sotto alla pelle.
Gli uomini e le donne, vecchiadultiragazzebambini, nel suo lavoro appaiono un corale corpo umano
oltre il tempo e lo spazio, una mappatura del sé singolo e collettivo che avvolge e coinvolge il concetto
stesso di umanità. Pelle di pelli, tutte diverse eppure tutte uguali quando ci si spoglia, nella nudità
della nascita e della morte, esseri fatti di testa e di volto, fatti di busto e braccia con mani e gambe con
piedi. Superfici lisce e pieghe, ma anche pori, unghie, peli. Neira si immerge nelle immagini
fotografiche di silhouette trovate nella fabbrica di corpi che è l’iconografica mass mediatica,
precisamente nella carta stampata di servizi e pubblicità sulle riviste, luogo di consumo cannibale di
figure, stereotipi, mode e modelli, di umanità. Un moloch che omologa, stravolge e disumanizza. In
quella produzione seriale e alienante lui scorge il brillio, le lucciole nella notte. Cerca l’uomo con
Diogene. In quell’archivio infinito e plurale vede, percepisce, ascolta e ritaglia chirurgicamente
frammenti di pelle, di lineamenti e scorci fisici, per trasfigurarli in altrettanti frammenti di un enorme
ritratto astratto e libero, dalla rarefazione estetica, che porta avanti da anni. Un monumento
all’umano, di cui pelle è sinonimo istintivo e metonimico. Un collage che si rigenera ogni giorno come
la pelle, che produce elementi infiniti di una creatura ibrida e mutante, indifesa, letale e meravigliosa
come è l’essere umano. Una visione evoluzionistica e mistica insieme, parti di parti che muoiono e
rinascono in una circolarità organica ed energetica, oltre che visiva.
Un corpo, dei corpi, di cui Dario Neira a un certo punto ha sentito anche la voce, la necessità di dargli
la parola. Carne e logos, questo è l’uomo. Lo è stato anche Cristo. Il logos che crea e distrugge, il verbo
rivelato che prende forma nella carnalità terrena e la eleva.
Le parole scelte da Neira sono icone nude, dal valore simbolico universale, parole comuni, come sick,
courage, me and you, flesh, word, fear, fragile. Appartengono a tutte e tutti. Insieme, scritte e
pronunciate, raccontano storie, sono vite reali e immaginarie, quelle accadute, quelle in corso, quelle
che verranno, quelle mancate, sognate, perdute. Le nostre, comunque.
Olga Gambari
orari apertura: gio – ven – sab | 16 – 19
Neira EDUCES ME_2022_collage on paper_70x120
16.09.2022 - 21.01.2023
opening: 15.09.2022
16.09.2022 - 21.01.2023
la mostra è prorogata
con nuovi lavori ed un nuovo allestimento
fino al 21 gennaio 2023
La piazza che dava sul porto – questo è forse il modo migliore di esprimere la cosa – era come una tavolozza sulla quale la mia fantasia mescolava le cose in via sperimentale; irresponsabilmente, se si vuole, eppure proprio nel modo in cui un grande pittore guarda alla sua tavolozza come a uno strumento.
W. Benjamin
Verbale di esperimento con l’hashish, «29 settembre 1928. Sabato, Marsiglia»
Con la personale Il Giardino Reciso, Gianluca Capozzi (1973, Avellino) torna a Torino, presso la galleria metroquadro, con una nuova costellazione di opere artistiche, assemblate in dialogo e sotto la cura di Andris Brinkmanis (1978, Riga). Il titolo, liberamente ispirato da una poesia tarda di Jim Morrison, incisa anche in un disco postumo, con l’accompagnamento strumentale della sua band, qui assume un significato più connotato.
Capozzi, partendo dalla sua ricerca sulla psichedelia, tema che lo interessa da anni, e ispirandosi al pensiero magico sudamericano, quello orientale e alle nuove scoperte della fisica quantistica, costruisce degli universi pittorici complessi e ben articolati, anche se non immediatamente decifrabili.
Partendo dall’osservazione e dalla decostruzione, della presunta oggettività del pensiero logico razionale, Gianluca Capozzi, attraverso il suo intervento artistico, mette in atto una sorta di decomposizione del reale e del visibile. Sovrapponendo più registri visuali e temporali, l’artista, ci proietta verso la parte più profonda della realtà, per la conoscenza della quale, seguendo la logica del buddhismo e di altre culture esoteriche di suo interesse, abbiamo già tutti gli strumenti innati, ma ai quali non sappiamo più accedere, che non sappiamo più usare. Non percepiamo altro che un’opacità costitutiva insuperabile. Restiamo rinchiusi in un autistico dominio del nostro Ego, dell’individualismo sproporzionato, della neotenia cronica, delle politiche identitarie, delle ideologie del piacere, della memoria e del pensiero – e tutto ciò ci porta allo sviluppo di una serie di atteggiamenti distruttivi nei confronti di noi stessi, delle altre forme di vita e dell’ambiente in generale.
Lo sgretolarsi della percezione del reale, che vediamo in alcune opere esposte, appunto, deriva non soltanto dalle sue riflessioni teoriche, ma anche da esperienze con dei stati di coscienza espansa attraverso profonda meditazione e altre pratiche, seguendo quali è possibile accedere a più sottili piani della realtà, per vedere come la nostra vita quotidiana in fondo non è altro che una sorta di teatro d’ombre cinesi. Una proiezione, come nella caverna descritta dallo stesso Platone. Mille veli ci offuscano la vista, dai quali non sappiamo più liberarci. La nostra memoria raccogliendo varie impronte, traumi, ferite, piaceri, emozioni in un vasto assieme, costruisce quel che definiamo come l’“Io”, che poi viene ulteriormente condizionato da fattori sociali e politici. Questo, inoltre diventa quasi l’unico strumento attraverso il quale navighiamo e leggiamo la realtà. Così, apprendiamo l’appartenenza a una definita lingua, stato, nazione, sesso etc. e ci teniamo a questo costrutto fino alla nostra scomparsa.
Come invece propone Capozzi: “Le nuove scoperte della fisica quantistica ci mostrano come la realtà non sia ciò che forma la coscienza, ma come invece sia la coscienza a formare la realtà. Come viviamo in una sorta di rete entangled (intrecciata) di potenzialità. Il mondo quantico appare classico, non per la natura macroscopica degli apparati di misura, ma perché noi, in quanto osservatori, facciamo parte del mondo che osserviamo. L’osservatore in qualche modo è l’osservato. Per capire questo pensiero complesso una delle proposte sarebbe quella di usare il metodo chiamato de-coerenza”.
La pittura, qui, non a caso risulta ancora il mezzo più efficace per poter rappresentare e rendere comprensibili fenomeni di tale complessità e ricchezza, in quanto questi rimangono fuori dalla portata degli attuali mezzi tecnologici e dalla nostra logica storica lineare.
Qual è dunque il Giardino di cui parla la mostra? Se per Morrison il giardino con i fiori recisi era quello simile a un cimitero, per Capozzi forse significa esattamente l’opposto, poiché resta pregno di una possibile rifioritura. Anche se attualmente reciso seguendo i canoni estetici, sociali e politici dominanti, questo Giardino può rifiorire selvaggiamente, appena lasciato intatto o incondizionato per un certo periodo di tempo.
Non è dunque l’ebbrezza il fenomeno che affascina l’artista, ma l’espandersi della coscienza come una sorta di mezzo per poter trovare delle modalità di una nuova consapevolezza, quale ci può permettere di attraversare quel “rumore visivo” al quale siamo continuamente sottoposti. Così al risveglio, forse, l’opacità del capitalismo contemporaneo, può apparire meno densa, permettendo di vedere chiaramente i meccanismi del suo funzionamento e lasciando la possibilità di allontanarsi da essi e dalla sua ideologia come un unico mondo possibile, trovandone alternative che non appartengono a quella retorica.
Andris Brinkmanis
31.05.2022 - 30.06.2022
opening: 28.05.2022
31.05.2022 - 30.06.2022
ore 19 – 23
Notte delle Gallerie OUVERTURE # 12 – TAG ART NIGHT
In mostra una raccolta di soggetti dalle serie fotografiche Rain (2004), Hope (2005), Grief (2007), Hotel (2010). “La serie Hotel riguarda l’alienazione e la sottile gamma di oscure emozioni che essa provoca in una persona. Le stanze di hotel in cui dormo quando viaggio sono tutte diverse, ma la sensazione che trasmettono è sempre la stessa, ha luogo una sorta di distacco.” Erwin Olaf Con queste parole Erwin Olaf commenta in un’intervista la sua serie Hotel (2010). Come è sua abitudine, il fotografo olandese sceglie per questa serie di indagare uno specifico ed unico stato d’animo in tutte le sue sfaccettature ed interpretazioni, da quelle più comuni e superficiali a quelle più inconsuete ed oscure. Se la serie Hope (2005) esplorava il sentimento della speranza e dell’attesa anche nelle sue implicazioni meno ovvie e più inquietanti, e in Grief (2007) prendeva corpo una geografia della tristezza e del dolore nell’apprendere una notizia sconvolgente ed inaspettata, Hotel (2010) si concentra sull’alienazione e sulla sospensione derivata dalla solitudine e dal distacco dal mondo esterno. Le anonime camere d’albergo in cui i soggetti sono ritratti sono scatole chiuse ed isolate in una dimensione assente dal tempo reale, in cui i personaggi appaiono intrappolati in un’annoiata attesa. I bellissimi nudi femminili delle foto sono avvolti in sofisticate atmosfere di velluto che evocano sottilmente le diverse città in cui le camere d’albergo si trovano. L’ambiguità e il senso di nostalgica frustrazione che le immagini trasmettono contrastano con la perfezione meticolosa dei dettagli della rappresentazione, confermando ancora una volta l’abilità dell’artista nel ricostruire il contesto e la scena fin nei minimi dettagli, con un’attenzione quasi cinematografica al trucco, all’acconciatura, all’abito, all’oggetto d’arredo, alla luce dell’ambiente. Ancora una volta ci si trova immersi in ovattate atmosfere ispirate agli anni Cinquanta e Sessanta, in cui emergono citazioni di grandi maestri del cinema italiano quali Pasolini, Visconti, Fellini. Tuttavia in questa serie non è tanto la nostalgia che interessa Olaf, o il rimpianto di un tempo trascorso, quanto piuttosto l’estetica di un’epoca capace di esprimere in modo pro- fondo, attraente e sensuale la complessità dell’animo umano, esplorandone anche i lati più nascosti attraverso un’antologia della bellezza.
Nell’ambito di Torino Photo Days 2022
metroquadro presenta:
ThePhair, 27-29 maggio, stand n. 12
DARIO NEIRA e STEVE SABELLA
08.04.2022 - 14.05.2022
opening: 08.04.2022
08.04.2022 - 14.05.2022
Coming Soon
06.11.2021 - 05.03.2022
opening: 06.11.2021
06.11.2021 - 05.03.2022
A quattro anni dall’ultima personale di Franco Tosi a Torino, metroquadro presenta i lavori che l’artista descrive con queste parole: Introspezione ed interiorità sono il leitmotiv di questa mostra. Un modo differente di guardarsi dentro dove il romanticismo dei landscapes , con campiture graffiate e tenui, a loro volta diventano il fluidificante nel quale nascono e si moltiplicano grappoli di cellule. La parte romantica lascia spazio alla ragione, soggettivo e oggettivo si incontrano in un giuoco di ruoli dove nulla è più definito.Sentimenti opposti condividono la stessa tela come monito all’anima, nell’evanescenza della vita.
Orari gio-sab ore 16-19
e su appuntamento
tel 328.4820897
inside
dal 4 novembre 2021 al 9 gennaio 2022
NH HOTEL SANTO STEFANO
Via Porta Palatina, 19,
10122, Torino
nhsantostefano@nh-hotels.com
tel 011 522 3311
Chiari e scuri, luci ed ombre si contrappongono e dialogano, in forma astratta, come “landscapes” dell’interiorità.
Un’analisi introspettiva, profonda, dove sensazioni e colori fanno da specchio alle debolezze dell’Io, in una continua ricerca di se stessi e la paura, forse, di trovarsi.
Franco Tosi ( 1962, Magenta ) è diplomato all’Istituto IASA – “ Istituto per le Arti sanitarie ausiliarie” di Bologna. Vive e lavora a Bologna.
Il suo lavoro trae spunto dall’universo biologico, una ricerca sui rapporti tra le diverse forme organiche indagando sul mistero dell’esistenza. Una tecnica pittorica che risente delle mutazioni ambientali nei suoi ritmi esecutivi, dove cellule e filamenti si materializzano su fluidi paesaggi interni dandoci la percezione del nostro essere. Le immagini si dissolvono perdendo via via ogni riconoscibilità per diventare una visione introspettiva di noi stessi. Astrazione ed ambiguità, come onirica rappresentazione di uno stato reale nel quale l’uomo è comunque il protagonista.