Gallery
Valerio Tazzetti ha iniziato negli anni ‘80 la propria attività nella fotografia contemporanea inizialmente come autore e successivamente come curatore ed organizzatore di eventi espositivi dal 1996 al 2001; nel 2001 ha inaugurato a Torino la galleria PHOTO & CONTEMPORARY. Prevalentemente dedicata alla fotografia internazionale di ricerca (Hiroshi Sugimoto, Georges Rousse, Karen Knorr, Vik Muniz, Tracey Moffatt, Jürgen Klauke, Nils-Udo, Thomas Wrede, Gabriele Basilico, Franco Fontana, Patrizia Guerresi Maïmouna) la galleria ha successivamente ampliato il programma espositivo, includendo pittura, installazioni e video (tra gli altri Warhol, Bruce Nauman, Ed Ruscha, Emil Lukas ed autori italiani emergenti come Beatrice Pediconi, Luigi Gariglio…).
Sin dalla fondazione, la galleria ha sempre partecipato ad importanti fiere internazionali: Art Basel, FIAC, ArtBrussels, Parisphoto ed alle principali fiere italiane. Photo&Contemporary collabora regolarmente con istituzioni museali nazionali ed internazionali, collezioni pubbliche ed aziendali.
Exhibits
03.11.2024 - 21.12.2024
opening: 02.11.2024
03.11.2024 - 21.12.2024
A cura di : Valerio Tazzetti in collaborazione con Boxart, Verona
Liu Bolin (Shandong 1973) è un artista cinese ormai famoso per le sue performances di camouflage durante le quali si autoritraein ambientazioni urbane ed architettoniche e grazie ad un accurato e totale body-painting, si mimetizza con lo spazio circostante.
Bolin realizzò la sua prima serie fotografica nel 2005, mentre il suo studio veniva distrutto dal governo durante la demolizione del villaggio Suojia. Mosso dall’ingiustizia, si rese conto della fragilità umana di fronte al potere politico, posando davanti al suo studio distrutto nell’opera intitolata “Suojia Village”. Da allora iniziò a lavorare alla sua famosa serie «Hiding in the City»,realizzata oltre che in Cina, in diverse metropoli occidentali.
Bolin nelle sue opere svanisce, diviene trasparente, sceglie di annullarsi, denuncia la condizione dell’uomo odierno che ha perso la propria identità a causa di una società estremamente materialista e tecnologizzata e che, costretto ad agire e a pensare secondo il sistema che la società impone, perde la propria individualità ed idealmente si annulla.
La serie «Hiding in the City» è una riflessione profonda e sensibile sulla condizione umana dove l’intenzione dell’artista non è quella di sparire nell’ambiente, ma invece quella di lasciare che l’ambiente prenda possesso di lui. Bolin non cerca un modo perscomparire come individuo, ma insiste sui danni causati dallo sviluppo economico e urbano sugli individui: si tratta di una sorta disilenziosa attesa, dove l’essere umano perde la sua capacità di integrarsi.
Dice l’artista a proposito del proprio lavoro: “E’ un gesto di denuncia. Cos’è oggi lo sviluppo dell’essere umano, e dove porta? L’uomo sta scomparendo nel suo stesso ambiente. La tecnologia ha portato molto sviluppo materiale, ma per restare umani cosa si deve fare? Io non voglio perdermi in questo labirinto, perciò scelgo questa forma di difesa. Io sono per un’arte di impegno civile”.
Laureatosi e specializzatosi presso la Shandong University of Arts di Jinan e la Central Academy of Fine Arts di Beijing, Liu Bolin ha raggiunto la notorietà internazionale al Festival di fotografia contemporanea di Arles del 2007 e da allora esposto in alcuni prestigiosi musei tra cui il Today Art Museum di Beijing, Museum on the Seam di Israele, il Berkshire Museum of Massachusetts, il Seoul Art Museum, il Chicago Cultural Center, il Mudec Milano.
ORARIO ESPOSITIVO : Martedì / Sabato ore 15.30 – 19.30
20.09.2024 - 19.10.2024
opening: 19.09.2024
20.09.2024 - 19.10.2024
La prima mostra personale in galleria del pittore Ernesto Morales prevede l’esposizione di una decina di opere di grande e medio formato delle nuove serie sulle stelle Nebulose e Supernove. Il progetto di Morales nasce nel 2021 per approfondire un tema a lui caro da sempre: le interconnessioni spazio temporali che influiscono consciamente o inconsciamente sull’uomo. La NEBULOSA, termine con cui si indica una qualsiasi forma astronomica di grandi dimensioni, include nubi e costellazioni, soggetti iconici per Morales. Gli elementi che compongono il cosmo sono gli stessi che ritroviamo nel corpo umano, elementi che ritroviamo nella tavola periodica di Mendeleev. Il legame quindi tra macrocosmo e microcosmo è forte: ‘Sicut in alto sicut in basso’ diceva Ermete Trismegisto secoli prima di Carl Jung, secondo il quale siamo in armonia con l’universo e la nostra anima entra in risonanza con il macrocosmo. Osservando l’infinito comprendiamo o meglio, proviamo a comprendere, il finito. La cosmogonia, la concezione eliocentrica, l’infinitamente grande, ci rimanda all’atomo, al nucleo attorno a cui ruotano gli elettroni, l’infinitamente piccolo. Fil rouge del lavoro di Morales, il tempo, in senso fisico e metafisico. Esso entra a far parte dell’opera in modo importante: la tecnica pittorica col pennello monofilo prevede un tempo di realizzazione tutt’altro che rapido, nulla a che fare con la fulminea pennellata con cui si immagina l’artista aggredisca la tela. Il tempo richiede tempo. Il tempo non comincia e non finisce, a volte la tela circolare esplica meglio e aiuta a comprendere ciò che per l’uomo è incomprensibile. Per l’uomo la percezione del tempo non può prescindere dalla sequenzialità scandita di quello che una volta non esisteva, che l’uomo ha dovuto creare per poter esistere: il tempo misurato. La contemporaneità appartiene solo a Dio. Con il tempo tentiamo di dare un ordine a ciò che un ordine non ha. L’universo ci contiene e ci inghiotte, ci illudiamo di nutrirci di qualcosa che in realtà si nutre di noi, in una visione di Leopardiana memoria, la Natura matrigna in realtà ci ignora da sempre, e bene che fa. La nuova serie SUPERNOVA, formazioni che rappresentano l’evolversi delle Nebulose dopo il loro collasso nello spazio cosmico, viene affrontata dal pittore invece attraverso una tecnica completamente diversa che prevede l’uso di pigmenti speciali interferenti, che contengono microsfere in grado di riflettere la luce, mescolate ai pigmenti puri, che l’artista prepara personalmente macinando lapislazzuli per l’azzurro, malachite per il verde, etc.; polveri che poi mescola con l’olio per una stesura più fluida. Il nocciolo delle Supernova emette energia e luce sorprendente, soprattutto in condizioni di ombra. Le opere quindi hanno un duplice aspetto: illuminate o in ombra ci appaiono completamente diverse! Lo spettatore si pone quindi di fronte a nebulose fisiche e non, in una realtà immersiva che lo invita a riflettere su di sé, nonché sull’interdipendenza tra tutti gli esseri come lo sono gli elementi componenti l’Universo.
24.04.2024 - 04.06.2024
opening: 23.04.2024
24.04.2024 - 04.06.2024
Il noto autore finlandese ritrae se stesso, ormai da 50 anni e sempre in autoscatto, nudo, ma senza esibire mai il volto. Le immagini, sempre rigorosamente in b/n, evidenziano e a volte celano il suo corpo, capace di mimetizzarsi nell’ambiente che spesso risulta ostile: neve, rocce o alberi. In posizioni sovente difficili da comprendere, riesce a ritrarre parti del suo corpo, rimanendo sospeso o in bilico anche su altezze vertiginose; riesce sempre a creare ‘landscapes’ unici in cui il suo corpo entra a far parte integrante dello scenario che lo circonda.
14.02.2024 - 23.03.2024
opening: 13.02.2024
14.02.2024 - 23.03.2024
Photo & Contemporary di Torino ospita la seconda personale nei propri spazi del noto autore PAOLO MUSSAT SARTOR, testimone ed interprete insostituibile dei momenti salienti dell’evoluzione protagonista nell’ambito della fotografia di ricerca. In mostra una dozzina di stampe fotografiche di grande e medio formato ai sali d’argento con interventi pittorici con pigmenti a olio realizzate tra il 1992 e il 2005. Tutti esemplari unici tratti dalle serie “FIGURE” con alcuni grandi e misteriosi nudi e alcune inedite figure femminili in abiti lunghi.
Negli anni Ottanta si fa viva in Mussat Sartor la necessità di spostare altrove il linguaggio fotografico, in un’altra dimensione, di strapparlo al dominio tecnico del medium, di “rendere visibile l’invisibile”.
L’autore comincia dunque a intervenire direttamente sulla carta fotografica con il colore, con le mani, spingendosi in un territorio mediano e ambiguo, in una zona di confine inafferrabile tra pittura e fotografia.
Dopo aver per anni elaborato particolari tecniche pittoriche a olio e pigmenti e di viraggio su carta fotografica in b/n, Mussat Sartor è riuscito infine a distillare esemplari unici di stampe di grande fascino e poesia in cui i temi della visionarietà e del nomadismo interiore emergono in oniriche e delicate immagini, quasi miraggi soffusi, che ci mostrano figure e dettagli di corpi femminili, misteriosi e sorprendenti. Un viaggio senza sosta attraverso l’ossessione allucinata della fotografia come metafora di un percorso esistenziale ad inseguire una bellezza celata, intravista per un attimo e poi improvvisamente scomparsa.
“Nella serie delle Gambe (1992-1993), degli Asimmetrici (1999-2000) e delle Figure (2001-2005) egli fa emergere dal nero denso dello sfondo immagini trattate con bianchi e grigi, come se manipolasse direttamente la luce, le sue sottili variazioni. Tutti questi lavori condividono un umore, una malinconia di fondo che li rende distanti e inafferrabili. Forse la spinta che ha portato l’autore torinese ad allontanarsi dal sentiero sicuro della tradizione fotografica va individuata proprio nell’esigenza forte di aggiungere alla fotografia uno stato d’animo preciso, un elemento emotivo costante e soprattutto indipendente dal soggetto fotografato. In questo modo egli riesce a strappare la fotografia alla sua contingenza predatoria e documentativa per inserirla nel dominio carismatico e senza tempo del proprio mondo interiore. Private del loro contesto geografico e atmosferico, le Figure e i Corpi, assumono la caratteristica di immagini ibride e poetiche, dall’identità assoluta e fluttuante nel tempo. Con Mussat Sartor la fotografia insomma abbandona la propria caratteristica identitaria, derivata da una tecnica precedente e ipostatica per porsi invece come un inedito spazio creativo attraverso il quale evocare nuovi umori e identità potenziali dell’immagine” ha scritto il critico Andrea Bellini nel, 2006 nel catalogo della sua antologica alla GAM di Torino.
Fotografie dipinte, in cui la memoria visiva è sedimentata e trasfigurata dall’intervento pittorico successivo e che rivelano la loro reale dimensione estetica solo dal vivo.
Ma che cosa cerca Mussat Sartor nella costruzione delle proprie visioni, nei suoi scorci taglienti ed obliqui? A noi pare che insegua sempre uno spiraglio di luce, un frammento di bellezza sublime, il dettaglio rivelatore di una speranza, che possa salvarci dalla nostra condizione incerta di viaggiatori del tempo alla ricerca di riferimenti.
Biografia
Paolo Mussat Sartor è nato a Torino nel 1947, dove vive e lavora.
Autodidatta, fotografa dal 1966. Nel 1968 inizia a collaborare con Gian Enzo Sperone e conosce e fotografa gli artisti italiani e stranieri che in quegli anni espongono le loro opere nella sua galleria.
Espone e pubblica Ritratti di Artisti e documentazioni di opere in cataloghi d’arte e riviste specializzate di tutto il mondo.
Collabora anche con riviste d’arte ed architettura come Domus, Abitare, Vogue, Casa Vogue, ed Ottagono. Nel 1979, la casa editrice Stampatori gli pubblica il volume Paolo Mussat Sartor Fotografo 1968/1978. Arte e Artisti in Italia, un libro che documenta dieci anni di collaborazione con alcuni artisti italiani contemporanei. Parallelamente, dal 1970, si dedica ad un proprio lavoro di ricerca che si sviluppa attraverso il linguaggio fotografico.
Dal 1985 interviene su stampe fotografiche, da lui appositamente realizzate, con pigmenti colorati e tecniche miste, ricavandone esemplari unici.
05.11.2023 - 15.01.2024
opening: 04.11.2023
05.11.2023 - 15.01.2024
PHOTO&CONTEMPORARY , in occasione dell’Art-week torinese, è lieta di ospitare la retrospettiva “PORTI” di Gabriele Basilico, di cui dal 13 Ottobre saranno in corso 2 grandi antologiche a Pal.Reale ed alla Triennale di Milano sul tema delle città. Per celebrare il maestro milanese abbiamo scelto uno dei temi a lui cari, in quanto nei porti si misurava come fotografo e come uomo; li riteneva spazi entro cui immaginare di conquistare il mondo : “Ho capito che forse non serve conquistare il mondo; la mia testa lo vorrebbe fare, ma il mio corpo mi dice che è impossibile.”
Per vedere i porti in giro per l’Europa pellegrinò incessantemente da un luogo all’altro , evidenziandone differenze e somiglianze. ”E’ un viaggio parziale, personale. Forse non è necessario vedere tutto”.
Due sono i metodi utilizzati dall’artista: ampia ricognizione e minuziosa catalogazione per Milano e le altre città e scelta selettiva della veduta per i porti. Qui le immagini sono in minor numero, ma l’inquadratura (e qui la fotografia diventa visione pittorica) contiene quanti più dettagli possibili del paesaggio, tende ad essere assoluta, comprensiva di tutti gli elementi significativi di una porzione di mondo molto più ampia. Basilico riesce quindi a raccontare tanto, tutto, con un solo gesto, una sola ripresa.
“Tuttavia i porti, come luogo, confrontati con gli altri paesaggi che ho incontrato e che tradizionalmente incontro nelle mie campagne fotografiche offrono qualcosa di più, quasi in eccesso. Le stesse architetture industriali, le stesse strade apparentemente vuote, ritmate dai pali della luce e ridisegnate dai cavi elettrici, le stesse officine produttive, a volte celate dietro cortine murarie, a volte prepotentemente emergenti o magnificamente isolate, come i complessi siderurgici o le centrali elettriche. Per non parlare del senso di equilibrio e di monumentale calma espressi dall’allineamento dei silos, o del sovrapporsi in fuga prospettica, quasi parata militare, delle gru in fila e delle gigantesche macchine di sollevamento dei container. Questa spettacolare città meccanica, agitata o ordinata a seconda dei momenti e dei luoghi, ha come sfondo, come argine di contenimento il mare. Trasparente fino a confondersi con il cielo o denso e mieloso come un magma gigantesco, inoffensivo o agitato, il mare si pone come un confine naturale, un grande piano di compensazione della terra ferma, una presenza importante che si spinge fino ad annullarsi con la linea dell’orizzonte. Un segno lontano, quasi un limite sicuro, a cui fare riferimento, al di qua del quale si è stimolati a costruire la visione del mondo tangibile con la consapevolezza che oltre quella linea dove la percezione sfuma nell’infinito c’è tutto lo spazio per immaginare un mondo lontano”.
*Testi tratti dal volume “Gabriele Basilico, Porti di mare”, Art&, Udine, 1990
15.09.2023 - 26.10.2023
opening: 14.09.2023
15.09.2023 - 26.10.2023
PHOTO&CONTEMPORARY è lieta di annunciare la collettiva che aprirà la stagione 2023/2024 in occasione dell’apertura coordinata di OUVERTURE delle gallerie torinesi TAG, fino alle ore 23 del 14 SETTEMBRE p.v. La mostra proseguirà fino al 26 Ottobre 2023.
Saranno presentate opere di autori italiani ed internazionali, sia fotografiche, sia pittoriche e scultoree di Nobuyoshi Araki, Nicola Bolla, Franco Fontana, Giovanni Gastel, Betta Gancia, Ezio Gribaudo, Robert Mapplethorpe, Paolo Mussat Sartor, Enzo Obiso, Denis Piel, Edoardo Romagnoli, Filippo di Sambuy, Laura Viale.
Protagonisti della storia dell’arte e dell’insegnamento accademico, della tradizione della natura morta a partire dal Rinascimento, i fiori possono sembrare soggetti ormai iper-rappresentati, eppure gli artisti continuano a ritrarli, a ricercarne le connotazioni più segrete, misteriose, simboliche e metafisiche.
L’obiettivo che si pone questa mostra tra interpretazioni in b/n di monocromo e sobrio rigore e sfarzosi cromatismi è rappresentare l’essenza del “fiore” e la sua imperscrutabile presenza in posa dinanzi all’artista e allo spettatore. Come un soggetto umano, probabilmente anche i fiori ci guardano.
Il ribaltamento dello sguardo dalla parte dei fiori intende sottolineare il ruolo fondamentale ed il ciclo vitale breve, silenzioso e generoso dei fiori, creature che rendono possibili fenomeni biologici indispensabili alla nostra sopravvivenza, come quello dell’impollinazione. Si parla quasi sempre della vita sulla Terra con un’impostazione focalizzata su una visione biologica “animale”, mentre la flora rappresenta oltre il 95% delle forme di vita sul pianeta.
I fiori ci portano dunque grandi vantaggi e piacere e noi li amiamo, ma li coltiviamo intensivamente, li usiamo, li maltrattiamo, li gettiamo rapidamente, accelerando e snaturando la loro stessa esistenza.
Hanno sempre rappresentato simboli universali di bellezza, eleganza, raffinatezza, rarità , opulenza, ma anche incarnato ed espresso i più profondi e segreti sentimenti umani, dalla passione alla castità, dalla fedeltà al tradimento, dalla gratitudine al risentimento, dalla gioia alla tristezza, fino ad assumere connotazioni mistiche e religiose ( ad esempio, i fiori dei ciliegi in Giappone o il giglio a tre petali simbolo della sacrà trinità nell’iconografia cristiana).
Sono e sono stati inoltre i protagonisti di fenomeni economici rilevanti : dall’estrazione dei pigmenti e dei principi medicali alla produzione di spezie, estratte dai loro petali e pistilli, alle vicende legate al commercio internazionale dei fiori ornamentali che hanno creato effetti economici di portata storica; valga per tutti, la clamorosa vicenda della bolla speculativa dei bulbi di tulipano in Olanda che all’inizio del XVII secolo fu teatro di una crescita vertiginosa e nel 1637 di un rapidissimo crollo .
I fiori, testimoni silenziosi delle vicende umane, compagni della nostra evoluzione sul pianeta, a ricordarci insomma che soltanto la vera bellezza può salvare il mondo, a suggerirci col loro sguardo di cercarla dentro di noi, attraverso lo stimolo dei loro colori, del loro profumo evanescente, catapultandoci in un’altra dimensione, quella della catarsi estetica e spirituale.
09.06.2023 - 26.07.2023
opening: 08.06.2023
09.06.2023 - 26.07.2023
PHOTO&CONTEMPORARY organizza la prima mostra di ENZO OBISO nei propri spazi torinesi con una selezione di 25 opere in b/n, colore di formati medio/grandi e Polaroid Transfer di piccolo formato.
C’è calma, silenzio, introspezione negli interni e nelle nature morte di Enzo Obiso; c’è la lentezza di uno sguardo esperto, ma sempre curioso e sorpreso dinanzi alla meraviglia dell’osservazione. Attendere e guardare come si posa e come cambia continuamente la luce sugli oggetti e i soggetti protagonisti delle proprie proiezioni interiori. Questa pare la missione paziente e quotidiana del noto fotografo siciliano, che dall’infanzia vive a Torino.
La definizione di “intimismo visivo” é tuttavia insufficiente e superata da una forma di nomadismo dello sguardo, inquieto ed evocativo, che ora ci conduce in riva al mare di Sicilia, culla delle civiltà mediterranee e patria dell’artista, ora si sofferma sui dettagli domestici di un interno in India, paese oggetto di una sua ampia ricognizione e di un ricco volume del 1990, ora nella penombra di uno studio d’artista sui dettagli di un corpo femminile.
“La Sicilia di Obiso é, come l’India e la Mongolia, composta di immagini sincere e giuste, immediate, semplici e per questo preziose….particolari solo in apparenza fragili, leggeri, discontinui, una volta raggruppati e ordinati permettono una lettura univoca della sua ricerca” aveva già intuito ed affermato il critico Filippo Maggia nel testo del catalogo “Silenzio della superficie”, 2002.
E’ in questa sottile ed essenziale linea poetica che va infatti ricercato il comun denominatore della fotografia di Obiso, in attesa perpetua e maniacale di quella luce che possa rivelare le pieghe delle cose, la loro implicita e peculiare bellezza, la loro più segreta essenza metafisica.
Questo interrogarsi senza sosta sull’immagine latente, in oscillazione tra realtà e visione interiore, sulla forma definitiva che prenderà, è la sostanza del processo creativo di Obiso: perdersi a guardare per intuire la verità, per vedere oltre sé stessi, come sembra fare, in una delle opere esposte, la donna di profilo, che si guarda incerta in uno specchio, nella semioscurita’ dello studio.
Un capitolo fondamentale nella vicenda artistica di Enzo Obiso è infatti il nudo femminile.
Tema classico della fotografia fin dai suoi albori (pensiamo agli studi di fine ‘800 del pittore Bonnard), il nudo viene affrontato dall’autore siciliano come disciplina rigorosa, ma sempre cangiante; come un diario quotidiano in cui il nudo, quasi sempre senza volto, deve appartenere a quella irripetibile sfera di intimità che si viene a creare ogni volta diversamente con una diversa modella; deve assomigliare, momento di pura e selvatica bellezza dello sguardo, alla bellezza unica ed esclusiva di quella donna, al suo carattere, al suo modo di muoversi e rivelarsi.
I corpi, a volte circondati da tessuti stropicciati o da vasi di fiori slanciati, appaiono tra luce e oscurità, sapientemente dosate dal fotografo attraverso la stampa dalle ricche scale di grigi che ammorbidiscono il contrasto, sospendendo i corpi in una dimensione eterea, atemporale.
Quando invece si avvale del colore, l’artista usa tonalità pallide e delicate, talvolta applicate a mano o ancora con procedimenti speciali come nella serie “Pensiero del giorno,1999”, piccoli e preziosi esemplari unici realizzati con la tecnica del Polaroid Transfer su carta acquerello.
06.04.2023 - 13.05.2023
opening: 05.04.2023
06.04.2023 - 13.05.2023
06.11.2022 - 28.02.2023
opening: 05.11.2022
06.11.2022 - 28.02.2023
Emil Lukas: The Narration of Light, è la nuova mostra personale dell’artista Emil Lukas (Pittsburgh, 1964), che si svolgerà nell’autunno 2022.
Il linguaggio astratto di Lukas è variegato e complesso. L’artista è noto per il suo sperimentalismo con una vasta gamma di tecniche e materiali, dalla tela al gesso, dal legno ai rifiuti. Parlando del suo processo creativo, Lukas afferma:
“Ciò che mi appassiona profondamente è l’idea di esplorare materiali semplici, abbondanti ed accessibili, ma dall’immenso potenziale visivo. Amo cercare di creare qualcosa dal nulla attraverso processi complicati e che l’accumulazione di questi atti possa dissolversi in arte”.
Nei suoi Thread paintings, migliaia di fili sono tirati a telaio, ottenendo magnifici effetti di luce e dissolvenza cromatica. Le opere in questione sono definite “dipinti”, ma sono realizzate in modo tale da non poter essere propriamente catalogate come scultura o pittura. Sono piuttosto opere tridimensionali, costituite da diversi strati sovrapposti in cui interno ed esterno, superficie e supporto perdono la loro distinzione gerarchica per assumere uguale importanza.
In un’altra serie di opere, Lukas utilizza larve di insetti per realizzare creazioni di spessore mediante un’intenzionalità non umana.
Per produrre ogni opera, l’artista sfrutta l’energia cieca delle larve che, muovendosi su gocce di colore, imprimono la carta formando dei reticoli dalle forme casuali. Lukas definisce quindi il campo d’azione, ma è il solo movimento delle larve a determinare la traccia della natura, l’astratto segno del loro passaggio. Infine, i Bubble paintings ruotano attorno alla percezione dell’osservatore: la parte retrostante di ogni opera è piatta come una tradizionale tela mentre la parte frontale fisicamente e pittoricamente si incurva in relazione all’effetto delle bolle.
Nel lavoro di Lukas singole sottili variazioni e un lavoro minuzioso danno vita a sfide percettive: a una visione ravvicinata è possibile vedere una moltitudine di colori, fili, angoli e linee, ma, da lontano, ogni opera si dissolve in una composizione simmetrica, suggestiva di un processo matematico e guidato da rigidi schemi geometrici.
Pertanto, ciò che l’occhio intuisce ad un primo sguardo è solo una delle sfaccettature che l’opera cela, in realtà, ad una visione più attenta. L’artista lavora sui meccanismi della percezione, accumulando segni, elementi e materiali che, pur nell’intrinseca ridondanza, tendono a dissolvere la loro struttura in qualcosa di lieve, etereo e spirituale.
L’uso distintivo di Lukas di materiali oganici quotidiani, come filo, gesso, larve, vernici idrosolubili così come le sue tecniche innovative contribuiscono a creare opere intricate che coinvolgono lo spettatore in modo intimo e contemplativo.
Nelle sue opere Lukas giustappone pattern e casualità riflettendo le complessità della natura e la bellezza che cresce dal caos e dalla quotidianità. Il suo linguaggio fonde l’azione con il pensiero: l’opera è il processo attraverso cui essa si compie.
Nato a Pittsburgh, Pennsylvania, nel 1964, Emil Lukas ha tenuto esposizioni negli Stati Uniti e all’estero. Le mostre personali includono: “Emil Lukas: Connection to the Curious” al The Aldrich Contemporary Art Museum in Ridgefield, CT (2005), “Emil Lukas” al The Weatherspoon Museum, Greensboro, NC (2005); “Things with Wings,” The Mattress Factory, Pittsburgh, PA (2005); e infine “Moderate Climate and the Bitter Bison” all’ Hunterdon Museum, Hunterdon, NJ (2008).
Nel 2016 una mostra personale dei suoi lavori si è tenuta al Pennsylvania Academy of Fine Arts, Philadelphia, PA.
Le opere di Lukas sono state presentate anche in una mostra collettiva al Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris (1995), Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto (1996); Contemporary Arts Museum, Houston (1998); Kemper Museum of Contemporary Art, Kansas City (1999); American Academy, Roma (2000); The Drawing Center, New York (2002); and SCAD Museum of Art, Savannah (2012-13).
I suoi lavori si trovano attualmente in importanti collezioni pubbliche e private, incluse: la Collezione Panza, Italia; la Dakis Joannou Collection, Grecia; la Margulies Collection, Miami; l’Allentown Art Museum, PA; la Anderson Collection alla Stanford University; il Baltimore Museum of Art; il Crystal Bridges Museum of American Art, Bentonville, AR; il Museum of Contemporary Art San Diego; la Pennsylvania Academy of the Fine Arts, Philadelphia; il San Francisco Museum of Modern Art; il San José Museum of Art; la UBS Art Collection; e infine il Weatherspoon Art Museum, Greensboro, NC.
16.09.2022 - 22.10.2022
opening: 15.09.2022
16.09.2022 - 22.10.2022
La storia della letteratura moderna è ricca di testi illeggibili, citati, nominati, estrapolati eppure conosciuti solo in parte oppure per nulla. Ad esempio Finnegans Wake di James Joyce, Horcinus Orca di Stefano D’Arrigo che nel 1975 rappresentò un caso editoriale e ora pressoché dimenticato, persino l’incompiuto Petrolio di Pier Paolo Pasolini riscoperto nell’anno del centenario.
I Cantos di Ezra Pound costituiscono uno di quei casi rari di estrema difficoltà di interpretazione e al contempo affascinano proprio per la loro cripticità. Un’opera poetica che ha accompagnato una vita intera, strato dopo strato, scrittura e riscrittura, impervia, talora inaccessibile, in bilico tra poema unitario e somma disordinata e casuale di frammenti.
Non è solo l’amore per questo testo che ha spinto Tania Pistone ad affrontarlo nella nuova fase della sua pittura. Chi ne conosce il lavoro sa che l’artista ha sempre messo il linguaggio dei segni al centro della propria riflessione; a differenza dei fondamenti teorici del concettuale, per Tania Pistone il linguaggio è oscuro e non chiarificatore, sorpassa le regole che la comunità si è data allo scopo di comunicare e in questo modo stabilire dei confini tra chi è dentro e chi fuori.
Pittrice, rinuncia altrettanto al potere diretto dell’immagine – che infatti rappresenta il primo stadio della comunicazione – per andare alla radice delle cose, mettere (e mettersi) in crisi un sistema di relazioni. Pistone punta così alla bellezza pura, alla preziosità dell’oro, all’incrocio di alfabeti inesistenti e afonici. Canti di cui bisognerà trovare i suoni.
Se l’ideale partenza e fonte di ispirazione è rappresentata dal capolavoro poundiano, l’artista suggerisce “altri canti” in questa fase del cammino. In particolare quelli scoperte da Bruce Chatwin nel 1987 quando scrisse Le vie dei canti, le storie di migrazioni con passo leggero degli aborigeni australiani divenute necessarie alla loro stessa esistenza. “La terra deve prima esistere come concetto mentale. Poi la si deve cantare. Solo allora si può dire che esiste”, scrisse l’autore di altri romanzi e memoir sull’orrore del domicilio e sul bisogno di spostarsi. Così noi pensiamo di capire il linguaggio espressivo di un popolo lontano senza conoscerne la lingua e questo dato ci deve portare a una riflessione sul depotenziamento della parola.
A Torino Tania Pistone presenta una selezione di opere pittoriche inedite e un’installazione site specific ; alcune realizzate con la tecnica della foglia d’oro come da tradizione trecentesca ed altre su superfici car-wrapping cromate.
Tania Pistone
Altri canti, II – 2022
Acrilico e testo scritto su car – wrapping
Cm 75 x 75
Tania Pistone
Cantos – 2022
foglia d’oro, tecnica mista e testo scritto su tavola
cm 70 x 30
Tania Pistone
Cantos – 2022
foglia d’oro, tecnica mista su carta
cm 90 x 90